venerdì 30 ottobre 2009

Giorgio Bellavitis e gli altri – terza parte

Ho pochissime notizie di Armando De Amicis, disegnatore “vecchio stampo”, ma molto interessante, che nel 1953 disegna, su testo dell’ubiquitario Eros Belloni, la storia di ambientazione medievale L’albero maledetto:



Non so se quello che sto per fare è “netiquettamente” corretto, ma una semplice ricerca del nome di De Amicis su Google, mentre scrivevo le poche righe sopra, ha prodotto un pdf assai illuminante, sul Vittorioso e sulla sua straordinaria importanza storica e artistica. Gianni Brunoro, probabilmente il critico italiano di fumetti più attento al fumetto classico, ha scritto, su una pubblicazione intitolata Il senso dei comics per il Vitt che fa parte del bel sito Giornalismo e Storia, le seguenti condivisibilissime considerazioni:

“Una di queste «cose» ignorate o misconosciute è il valore avuto dal settimanale Il Vittorioso (presente in edicola dal 9 gennaio 1937 al 29 ottobre 1970, quando sospese le pubblicazioni dopo aver assunto da qualche anno il più guizzante titolo di Vitt: ossia il nomignolo confidenziale con cui da sempre lo chiamavano i suoi lettori) nella formazione di una vera e propria «scuola» del fumetto italiano. Dalla quale sono usciti nominativi di grande valore, alcuni tuttora attivi sulla nostra scena fumettistica (come per esempio lo scrittore Claudio Nizzi, subentrato da anni a Gianluigi Bonelli come principale sceneggiatore di Tex Willer, colonna portante del fumetto di casa nostra; o il disegnatore Renato Polese, assiduo collaboratore di più collane dell’editrice Bonelli). Il Vitt è stato importante per aver saputo valorizzare i nuovi talenti che – specie negli anni Quaranta e Cinquanta – si andavano formando nello scenario della nostra, come dire?, creatività fumettistica.”
Parlando poi di De Luca, Brunoro poi dice:
“Non tanto, dunque, è o era misconosciuto De Luca, quanto poco nota a livello critico (essendo ormai uscita quasi sessant’anni fa e mai più riproposta) una sua opera specifica, Gli ultimi sulla Terra, che può essere assunta a contestuale metafora sia della eccellenza di lui in quanto disegnatore, sia del ruolo di “scuola” sostenuto dal settimanale Il Vittorioso. Si tratta di un racconto purtroppo non conosciuto, in specie, proprio dai critici di fumetti: ciò che renderebbe opportuno riproporne una ristampa. Proprio per la sua particolare valenza. È opportuno cominciare alla lontana, affermando che al settimanale Il Vittorioso è il caso di attribuire, insieme agli altri meriti, anche un qualche importante ruolo di giornale per ragazzi dal valore unico nel contesto e per il processo evolutivo del fumetto italiano.”
Ma torniamo ai “minori” (in senso squisitamente relativo) del Vittorioso, intorno alla seconda metà degli anni Cinquanta. Carlo Boscarato è un altro grande artigiano del Fumetto, anche lui, come D’Antonio, collaboratore dello Studio Dami. Boscarato ha una sua voce di Wikipedia che segnalo volentieri, anche se ho imparato a fidarmi poco di questa forma di pseudo-conoscenza internettiana. Conosciuto soprattutto per la serie western di Larry Yuma, con testi di Claudio Nizzi, ben altrimenti noto, Boscarato è stato una vera colonna portante del "Giornalino". Sul Vittorioso, nel 1955, disegna su testi di Mario Basari la storia Il capitano Mike:



Antonio Canale e Carlo Cossio “minori” non lo sono davvero: anzi, sono stati, certo in modi assai diversi, due veri Giganti del Fumetto italiano, fin dal remoto Anteguerra. Però si possono definire sicuramente dimenticati, al pari di tanti altri…

L’Amok di Antonio Canale, giustiziere in maschera dei primi anni Cinquanta, è stato un grandissimo successo commerciale. Ma abbiamo incontrato questo autore, sul Vittorioso, già nel 1937, con La piuma verde, su testi nientemeno che di Gianluigi Bonelli. Nel 1951, su testi di Adamante, disegna Scacco a Sigma 3, col suo tipico stile eccessivo, barocco, quasi malato:



Carlo Cossio, insieme al fratello Vittorio, è stato forse il più prolifico disegnatore italiano, fra il 1938 e la metà degli anni Cinquanta. Sua è la parte grafica di Dick Fulmine, su testi di Vincenzo Baggioli, a torto o a ragione considerato l’”eroe fascista” per eccellenza. Ma Carlo Cossio è importante anche e soprattutto per la sua lunga collaborazione a “L’Intrepido” (vedremo in seguito, spero) e per la sterminata serie di albetti minori e minimi, molto rappresentativi di un particolare periodo editoriale, quello dell’immediato secondo Dopoguerra: come il beffardo Tanks, l’uomo d’acciaio, su testi di Stanis La Bruna, e in seguito di successi come Kansas Kid e Buffalo Bill.

Il curioso …E Ascanio regnò, del 1957, su testi di Sandro Cassone, sembra preso pari pari da “L’Intrepido” Anteguerra: un caso di stile… fuori tempo massimo:




Anche il fratello Vittorio è una presenza ubiquitaria, nel Fumetto italiano a cavallo del secondo conflitto mondiale e oltre: sua è la massima parte dei disegni di Furio Almirante, per dire, personaggio creato da Andrea Lavezzolo per “L’Audace” nel 1940, durante la gestione Bonelli. Ma fare solo un elenco dei fumetti di Vittorio Cossio, considerando anche le serie umoristiche per testate quali “Il Travaso”, occuperebbe intere… pagine elettroniche. La storia Il cavaliere del falco, del 1957, è esemplificativa del suo stile “moderno”, chiaroscurale e dinamico, agli antipodi rispetto a quello di Carlo. Notate, fra le lettere in redazione, un proto-collezionista di fumetti in cerca di vecchie annate del settimanale.
 


Parlando di “artigiani” del Fumetto, tale qualifica si attaglia alla perfezione a Franco Chiletto, classe 1897, anche lui prolificassimo autore, attivo fin dagli anni Venti e nell’Anteguerra “classico” collaboratore fisso di “Topolino”, con le riduzioni salgariane già iniziate da stelle della Nona Arte come Guido M. Celsi e Rino Albertarelli. Nel 1951, sul Vittorioso, la storia Il tesoro degli Armagnac è perfettamente in linea con tali produzioni, e quindi con uno stile decisamente attardato:
 

 
Ruggero Giovannini, invece, assai più giovane, lo abbiamo incontrato nell’immediato Dopoguerra, sul Vittorioso, con varie storie, fra cui la serie di Jim Brady che è probabilmente il primo fumetto “americano” della testata. L’invincibile spada, del 1955, è un tipico esempio delle storie medievaleggianti in cui questo versatile autore, abile anche nel noir, era maestro:
 


lunedì 26 ottobre 2009

Giorgio Bellavitis e gli altri – seconda parte

Sul Vittorioso, nel suo periodo “magico”, non ci sono solo i grandissimi nomi, come abbiamo del resto già visto. Anzi, fra il 1952 e il 1957 spuntano alcuni disegnatori che sembrano seguire, con notevole originalità, la lezione di Gianni De Luca: ciò inteso nel senso di una notevole modernizzazione del classico stile “avventuroso”, standardizzato in Italia nel Dopoguerra. Anzi, anche qualche autore anziano, con le radici nell’Anteguerra, sembra modificare il proprio stile grafico in questo senso.
Un vero e proprio Gigante del Fumetto naturalistico, al pari di Caprioli e De Luca, è Dino Battaglia. Solo che sul Vittorioso lavora relativamente poco: il suo zenith artistico arriverà qualche anno dopo, prima su “Corriere dei Piccoli” e poi, soprattutto, sul “Giornalino” degli anni Settanta, con opere straordinarie, come Frate Francesco. Sul Vittorioso, Battaglia pubblica alcune storie “in costume”, di grande raffinatezza grafica, come Bersaglieri di Crimea, su testo di Gilardini:





Oppure L’ultimo dei Polignac, su testo del solito Eros Belloni:



Ma la storia memorabile, in questo periodo della produzione di Battaglia, è senz’altro Il Corsaro del Mediterraneo, del 1957, avvincente e perfino epica, specie nella struggente conclusione. Qualcuno forse se la ricorderà nell’antica ristampa anni Settanta sui “Quaderni del Fumetto” edizione Fratelli Spada:





Altro autore dimenticatissimo, eppure di grande valore, è Gino D’Antonio. La storia Due ragazzi e mezza statua, su testi niente affatto disprezzabili di De Barba, è notevole non solo per le atmosfere di “neorealismo rosa”, di cui ho già detto, ma anche e soprattutto per lo stile grafico. D’Antonio è destinato ad un facondo avvenire soprattutto per Bonelli, negli anni Sessanta, con una leggendaria “Storia del West”. In questo periodo è già entrato a far parte dello Studio Dami, che collabora con l’inglese Fleetway: il suo segno è molto vicino alla “striscia sofisticata” americana, e mi pare di scorgere soprattutto l’influsso di John Cullen Murphy, all’epoca disegnatore di Big Ben Bolt (che a quanto pare sarà presto ristampato integralmente, negli USA) e che dal 1970 sostituirà nientemeno che Harold Foster in Prince Valiant:







È veramente curioso che sul Vittorioso della metà degli anni Cinquanta si trovino echi “colti” della sofisticazione americana, considerando il panorama un po’ deprimente del coevo “Fumetto avventuroso”. Ma il settimanale cattolico è un grande laboratorio: soprattutto, e solo apparentemente in modo paradossale, perché privo dei vincoli commerciali (ed economici!) che altrove limitavano la creatività degli autori.
E Giorgio Bellavitis, da cui il titolo di questo post? Il suo tratto spazia con disinvoltura dallo stile “caniffiano” (o forse, meglio, “robbinsiano”) di Giro del mondo senza scalo (1951), al sorprendente realismo (ancora “neo”, per certi versi) di Acqua cattiva, che esorcizza probabilmente il disastro del Polesine, al classico naturalismo da storia “in costume” de Il palio di Siena, su testi del solito Roudolph.






sabato 24 ottobre 2009

Il Vittorioso 1952/57 – Sebastiano Craveri

Ho parlato abbondantemente di Landolfi; adesso è doppiamente giusto (per tanti motivi, alcuni indicibili) che mi occupi nuovamente di Sebastiano Craveri, uno dei “padri fondatori” del Vittorioso. Gli anni Cinquanta, per lui, sono densi di alti e bassi. Il livello artistico delle sue storie, delle quali cura sia i testi che i disegni, è sempre molto alto, con punte di eccellenza. Quella che varia drammaticamente è la sua fortuna editoriale: all’astro di Jacovitti, che da un decennio abbondante l’ha spodestato dalla sua posizione di autore-bandiera del Vittorioso, dopo il 1952 si è aggiunto Lino Landolfi. Evidentemente, a differenza di Craveri, il nuovo autore gode in redazione di grande credito. Così, anche quando Jacovitti si imbarca nell’avventura del “Giorno dei Ragazzi” e dirada le sue collaborazioni al Vittorioso, lo spazio per Craveri resta limitato. Nel 1951, ancora, l'impaginazione delle avventure degli “zoolandini” è adeguata, anche se la pagina piena è ormai un ricordo:





D’altra parte, Craveri sa adeguare il proprio disegno alle mutate condizioni, raggiungendo, nel 1952, un nuovo livello di stilizzazione:




Due zoolandini in una goccia d’acqua è anche un esempio straordinario della capacità visionaria di Craveri, a suo agio con atmosfere surreali che – sia pure con “colorazione” del tutto diversa – non hanno niente da invidiare a quelle del grande Jac (con una bella citazione dal film Il Dottor Cyclops):






In Il nove non risponde, sempre del 1952, il suo segno grafico si fa lievemente più cupo, con un tratteggio più pesante: ne vedremo gli esiti fra qualche anno, quando realizzerà alcune storie, dal lato grafico, opposte al solare disegno degli anni Quaranta:







Il dramma arriva l’anno seguente. Non può essere un caso che il 1954 sia giusto l’anno del grande lancio del Procopio di Landolfi… Quando il giovane autore dispone perfino di due grandi pagine a colori, Sebastiano Craveri deve accontentarsi di una minuscola colonnina in bianco e nero. Che, comunque, è densa di spunti irresistibili, molto spesso delicatamente poetici, come ne La bombetta inesplosa, che fa parte del mini-ciclo di Caporal Meo:








L’affascinante Everowest! è impaginato peggio di un trafiletto pubblicitario:




Il 1955 è un anno da dimenticare; nel 1956, la stampa a rotocalco, inizialmente, fa soffrire il tratto di Craveri più di quello degli altri disegnatori, specie ne La carrettera zoolandina, con vaghe reminescenze disneyane:




Le cose tornano a migliorare più avanti, in quello stesso 1956, quando finalmente torna il colore, alternato con tavole godibilmente autoconclusive, in bianco e nero ma impaginate in modo decisamente più degno:










La scimmietta Dolly, per chi non se la ricorda, era la mascotte di Angelo Lombardi, l' "Amico degli animali" di una fortunatissima trasmissione televisiva di quegli anni ("Amici dei miei amici..."). Lombardi è un nuovo "amico del Vittorioso", in un periodo in cui il piccolo schermo sembra davvero in grado di annientare i fumetti...
La grande avventura craveriana, impaginata con la cura che merita, torna nel 1957 con Nel mare dei guai:








Che le fortune di Craveri sono mutate – in meglio, per una volta! – è testimoniato dalla copertina e contro copertina del numero di Carnevale del 1957:






Ma il cuore di Craveri deve aver palpitato di autentica gioia, quando la sua storia La città dei cuccioli, nel febbraio del 1958, ha addirittura l’onore della prima pagina del Vittorioso! Un ritorno ideale ai fasti zoolandini degli anni Trenta:




E se non è la prima pagina, spesso è l’ultima, altrettanto prestigiosa, oppure il paginone centrale come nel 1940, ai tempi dei tempi:






Nel giugno del 1958, poi, un momentaneo ritorno di Jacovitti sembra riparare simbolicamente ad un antico torto, quando i due autori vengono impaginati con uguale dignità:




Ma purtroppo le cose cambieranno di nuovo, e assai presto. Lo vedremo tra qualche post.

giovedì 22 ottobre 2009

Don Chisciotte di Lino Landolfi - Edizioni NPE

Interrompo per una volta il mio monologo appassionato (senz'altro da appassionato, spero utile per gli appassionati) e vi propongo un "consiglio per gli acquisti".



Andrea Mazzotta mi ha inviato la cartella stampa del nuovissimo "Don Chisciotte" di Lino Landolfi, di cui ho già parlato qui. Mi fa piacere riportarla pari pari:

Nicola Pesce Editore pubblica il Don Chisciotte di Landolfi

La Nicola Pesce Editore è orgogliosa di annunciare il ritorno di un maestro dimenticato del fumetto italiano, LINO LANDOLFI, e del suo più grande capolavoro, la trasposizione a fumetti del Don Chisciotte di Cervantes!
In una splendida edizione cartonata la NPE ripropone una pietra angolare della letteratura disegnata, apparsa per la prima volta sulle pagine del Vitt tra il 1968 e il 1969 ma ancora oggi estremamente moderna nel tratto e nella narrazione.
A rendere ancora più prezioso il volume contribuisce un ricco apparato critico e di approfondimento dell'opera, a cura di Gianni Brunoro. Il volume, contiene anche un’approfondita biografia e una esauriente bibliografia dell' autore, che lo rendono l’edizione definitiva per antonomasia.
Il Don Chisciotte di Landolfi inaugura la nuova collana della NPE, Nuvole d' Autore, che si propone di accompagnare il lettore in un lungo viaggio attraverso i grandi classici dimenticati del fumetto mondiale, che in quanto tali non possono mancare nella libreria di ogni appassionato dell' arte sequenziale.



Non ho ancora visto il volume - che sarà presentato a Lucca - e naturalmente non posso dire degli esiti tipografici. Ma che venga varata una nuova collana dedicata ai classici del Fumetto italiano (e non) è una notizia che ovviamente riempie di piacere. Anzi, se Andrea Mazzotta ci vorrà offrire qualche anticipazione delle future uscite, ci farà cosa più che gradita!




Il Don Chisciotte della NPE vanta una presentazione storico-critica di Gianni Brunoro, carissimo amico (che saluto, nel caso mi legga!), di cui sono in grado di anticipare, sempre grazie alla cartella stampa, un estratto:

“Nel Don Chisciotte di Landolfi si evidenzia tutta la sua originalità innovatrice. Infatti, ai precedenti autori, che si sono più o meno adeguati alle variazioni su un tema obbligato – la fedeltà all’impostazione iconica tradizionale – si potrebbe in fondo rimproverare di aver mancato di donchisciottismo, per aver sacrificato l’omaggio allo spirito dell’opera in nome dell’attenzione pignola verso il dettaglio. Landolfi compie invece un salto netto nei confronti della tradizione, se ne distacca completamente, sostituendo alla tradizionale figura ascetica del Don Chisciotte una figura di tonto sprovveduto (relegando il rispetto della tradizione nella “aulicità” dei dialoghi). Ne consegue quindi una nuova e diversa interpretazione psicologica del personaggio, ciò che dà un differente spessore a questa nuova angolatura visuale dell’eroe cervantino.”



Più che bene, dunque. Aspettiamo con impazienza...

mercoledì 21 ottobre 2009

Il Vittorioso 1952/57 - Giovanni (Gianni) De Luca

Diversi post fa ho parlato degli inizi di Gianni De Luca sul Vittorioso. Già alla fine degli anni Quaranta, questo autore era fra i pochissimi, in campo “naturalistico” (cioè non comico-avventuroso), a reggere il confronto con Franco Caprioli, in quanto a capacità tecnica e a livello espressivo, e certamente il solo a proporre sostanziali novità grafiche in chiave “moderna”. Fra il 1951 e il 1957, il disegno di De Luca ha una veloce evoluzione, che guarda molto a territori esterni al Fumetto, come la grafica e soprattutto l’illustrazione. E sarà proprio quest’ultima ad assorbirlo completamente, dalla fine degli anni Cinquanta, prima di un ritorno in grande stile al Fumetto, nel 1969.
A prescindere dai contenuti, in cui la propaganda cattolico-occidentale gioca un parte importante, il “catastrofico” Gli ultimi sulla terra del 1952, su soggetto di Eros Belloni, che anticipa pellicole come L’ultima spiaggia di Stanley Kramer (On the Beach, 1959), è già molto sperimentale nella scelta di inquadrature non convenzionali e nella stessa tecnica grafica, “in punta di pennino”:



Nel 1952 torna il “neorealismo” del Vittorioso, simile per tanti aspetti al coevo “Neorealismo rosa” cinematografico delle varie pellicole – spesso assai pregevoli – del tipo di Pane, amore e fantasia. Con Le braccia di pietra del 1952/53, sempre su testo di Eros Belloni, l’ambiente urbano di Roma, non solo monumentale, e lo studio dei caratteri, fa un deciso passo in avanti rispetto al pur notevole I Ragazzi di Piazza Cinquecento di Raffaele Paparella, di cui abbiamo parlato diverso tempo fa:




Notevole questa strepitosa sequenza onirica, con atmosfere surreali che De Luca frequenterà molto in seguito:



Gli scenari storici, specie il “peplum” caro al Vittorioso, tornano con Il Cantico dell’arco, una “visione biblica” in cui De Luca sperimenta tecniche grafiche nuove, con esiti di grande suggestione:








Gli ambienti esotici, ad esempio quelli sudamericani de L’ala spezzata (1953), offrono già molti spunti grafici decisamente sperimentali, che nel contesto del Vittorioso di quegli anni appaiono molto in anticipo sui tempi:








Ma è nel 1955, con il grande kolossal Rasena, in cui si rilegge la Storia dalla parte dei “perdenti”, perfetto complemento al ciclo “romano” di Caprioli, che De Luca raggiunge la sua prima vetta artistica:















Saranno poi, quasi vent’anni dopo, il memorabile ciclo del Commissario Spada, su “Il Giornalino”, ma anche cose minori e altamente sperimentali come gli adattamenti shakespeariani (Amleto, Giulietta e Romeo, La tempesta), a offrirci il De Luca più maturo e alto, prima della sua immatura scomparsa. Ma è quanto meno curioso notare che già nel 1957, sul Vittorioso, De Luca aveva affrontato con notevoli risultati le ambientazioni e il clima del “giallo urbano”, con Giallo alla 14° strada: