giovedì 28 gennaio 2010

Jumbo – seconda parte

Eccoci dunque al numero 1, che porta la data del 17 dicembre 1932. La prima pagina, con le vicende dei Bruin Boys di Herbert Foxwell (che morirà in combattimento nel 1943), l’abbiamo già vista nel primo post, ma la riproduco ugualmente:


Cos’hanno di diverso, le simpatiche vicenduole di Jumbo, Tigre Tino, Lina Collolungo & c., rispetto ai giganti umoristici americani pubblicati per oltre vent’anni dal Corriere dei Piccoli? Di meglio, certamente, nulla: il Corrierino ha proposto Swinnerton, Outcault, Dirks, Opper, ma anche Mussino, Rubino, Tofano e decine (centinaia) di altri autori e personaggi strepitosi. Il collegio della signora Rosmunda è solo un teatrino piacevole, divertente, molto british; in più, rispetto alla tradizione, ha i balloons – che sporadicamente appaiono anche sul CdP – ma a differenza di quel che faceva sperare il volantino pubblicitario, ogni quadretto è appesantito da inutili e prolisse didascalie in prosa.


In realtà, pur mantenendo quasi sempre la leadership del settimanale, con le loro avventure in prima pagina, Jumbo e amici non saranno mai il motore trainante del settimanale. Prova ne è che quando questo verrà chiuso, nel 1938, a causa delle straordinarie vicende che racconteremo, i personaggi di Foxwell saranno tra i pochi a non trovar posto sulle altre testate SAEV e a non venire mai riproposti in qualsiasi altra sede, nell’Anteguerra e nell’immediato Dopoguerra. Ciò a differenza di tante altre serie a fumetti, anche minime e sconosciute.

D’altra parte, se avete seguito le vicende del Vittorioso, non potrete fare a meno di notare la somiglianza esteriore tra alcuni personaggi del bestiario inglese di Jumbo e gli zoolandini di Sebastiano Craveri (1937). Esteriore, ripeto – penso a Giraffone, soprattutto – perché si tratta di cose ben diverse. Infine, è innegabile che in questa lunghissima e immutabile saga ci siano molti richiami disneyani, per quanto labili. E nel 1932, i “cartoni animati” di Topolino hanno un epocale successo, anche - e forse soprattutto - nel nostro Paese.
La seconda pagina, oltre ad un “editoriale” di circostanza, per rassicurare la censura diretta fascista (e quella indiretta altrui), pubblica come riempitivo storielle di incertissima attribuzione:



Il pezzo forte, il motivo principale dell’altrimenti inspiegabile successo di Jumbo, è Lucio l’Avanguardista, a pagina tre:


Ebbene, questo (a parte l’editoriale) è l’unico granellino d’incenso bruciato da Vecchi al regime fascista: vedremo più avanti, raccontando brevemente la sua vicenda umana ed editoriale, che il grande e pionieristico editore milanese sarà sempre “tiepido” nei confronti del Regime, con le relative conseguenze.

Dunque, Lucio è definito “Avanguardista”: ovvero un ragazzo tra i 14 e i 17 anni, inquadrato nell’Opera Nazionale Balilla, l’organismo con il quale il Partito Nazionale Fascista irreggimentava le nuove generazioni, fin dai sei anni di età. Vediamo, nella testatina, Lucio fare il regolamentare saluto romano, in divisa e a fianco di un fascista adulto, il Centurione Alfredo Roveri:


La prima vignetta della prima puntata ci mostra i due personaggi, sempre in divisa fascista, alle prese con un intrigante enigma archeologico. Ma la serie, come ho già detto, è con ogni probabilità Rob The Rover di Walter Booth. Evidentemente, la redazione di Jumbo incaricò un disegnatore di ritoccare questa vignetta:



Il lavoro è talmente ben fatto, che ricorda certi casi di damnatio memoriae iconografici tipici delle dittature. Ezio Ferraro, su “Il fumetto” n. 21 del 1976, chiama in casa Enwer Bongrani, ma vedremo in futuro che l’identificazione è assai dubbia. Anche altre vignette della lunga saga di Lucio/Rob saranno ritoccate in modo simile: non molte, in verità. Ma è probabilmente il solo caso del genere, nella storia del fumetto anglosassone pubblicato nel nostro Paese.

A pagina 4 appare Fortunino (Happy Hooligan di Frederick Burr Opper), di cui ho già detto:



L’altra metà del “paginone a colori” (che sarà una costante dei “giornali” a fumetti, per tutti gli anni Trenta e oltre) è occupata da And Her Name Was Maud, sempre di Opper, conosciuta ai tempi del Corrierino come La Checca, qui ribattezzata Peppa:



Si tratta, rispettivamente, della parte inferiore e del terzo superiore (il topper) di una tavola domenicale. Jumbo ne pubblicherà molte, nei primi anni Trenta (sono riuscito a datarne solo una, confrontandola con un originale in mio possesso), rimontate ma integrali, a differenza di quel che accadeva sul Corriere dei Piccoli. Le didascalie in prosa sono ovviamente apocrife e probabilmente venivano ignorate dai lettori. L’arte di Opper, maestro di satira (politica e di costume), con una forza e un umorismo corrosivo che ha raggiunto il suo culmine nel primo decennio del Secolo, nei primi anni Trenta è ormai esausta. L’autore è quasi cieco, morirà pochi anni dopo.

La tavola pubblicata a pagina sei, Scuola moderna di aviazione, è di assai difficile identificazione. Potrebbe anche essere italiana: forse di Carlo Cossio, fra i primi collaboratori di Vecchi:



A pagina sette c’è Ken, il tamburino di Drake, altra serie inglese di cui ho già detto nel post precedente. Prossimamente cercherò di offrire maggiori informazioni su questi dimenticati fumetti, avvalendomi anche di una ricerca di Giorgio Salvucci, pubblicata su “Il Fumettodell’ANAF/ANAFI molti anni fa:


Chiude lo storico numero 1 di Jumbo la prima puntata de Il segreto del nonno, che dovrebbe essere, come si è detto, Little Snow Drop di Frank Jennens. Ne parlerò nel prossimo post:

lunedì 25 gennaio 2010

Jumbo – prima parte

Come d’uso negli anni Trenta, nel dicembre 1932 viene distribuito nelle edicole un volantino pubblicitario gratuito:


Notiamo che Jumbo è rivolto ai “bimbi”, ma nello “strillo” si parla di “ragazzi”: un target, diremmo oggi, piuttosto ampio e solo in parte sovrapponibile a quello del Corriere dei Piccoli. Altro dato importante, il settimanale costa solo 20 centesimi, ben dieci in meno rispetto al prestigioso concorrente, benché quest’ultimo conti il doppio delle pagine. Ma, nel 1932, dieci centesimi in meno, ogni settimana, sono un piccolo capitale.

La serie principale, con il personaggio eponimo, e buona parte di quelle secondarie, sono inglesi. L’elaborata testata imita in modo efficace quella del britannico "Rainbow" edito dall’Amalgamated Press fin dal 1914, da cui provengono Jumbo e amici, ovvero Tiger Tim e i Bruin Boys di Herbert Foxwell. Già da questo volantino notiamo che, a differenza del Corrierino, Jumbo conserva i fumetti, ovvero i balloons, senza le ormai stantie didascalie in rima. Per gli storici del Fumetto, è proprio questa la novità “rivoluzionaria”, ma come vedremo fra non molto, forse è stata un po’ sopravvalutata.

La seconda e la terza striscia del volantino presentano fumetti americani, della potente agenzia di William R. Hearst, ovvero il King Features Syndicate. Sono vecchie conoscenze, per i lettori del CdP: nientemeno che Fortunino (Happy Hooligan) e La Checca (And Her Name Was Maud), entrambe di Frederick Burr Opper. Fortunino è assai meglio conosciuto da noi col nome di Fortunello, a lungo una bandiera del Corriere dei Piccoli. Consultando le schede di Giorgio Salvucci pubblicate su “Il Fumetto” e la fondamentale opera di Alfredo Castelli Eccoci ancora qui!, risparmiandomi così una lunga ricerca, scopro che Fortunello scompare dal Corrierino già nel 1920; poco dopo Nerbini di Firenze lancia addirittura un settimanale, "Il giornale di Fortunello", appunto. La serie ricompare sul Corriere dei Piccoli nel 1928, e da quella data è pubblicato ininterrottamente fino giusto al n. 1 del 1932. Dopo una parentesi di qualche anno su Jumbo, il settimanale di Via Solferino lo riprende per breve tempo nel 1934.
Frederick Burr Opper, scomparso nel 1932, fu uno dei grandi autori della prima generazione di cartoonist americani. Perché le sue creature, popolarissime in Italia, abbiano subito tali e tanti passaggi di mano, è un po’ un mistero.

La terza star, presentata in calce alla prima pagina del volantino, è una di quelle che faranno la differenza di Jumbo rispetto al Corrierino e agli altri settimanali. Si tratta ancora di una serie britannica, Little Snow Drop di Frank Jennens, apparsa per la prima volta nel 1927 su “Tiny Tots”. Su Jennens trovate molte notizie (e una foto) in questo pregevole blog. Da noi la serie si chiamerà Il segreto del nonno.
Cos’ha di particolare questa serie, oltre al fatto che anch’essa conserva i balloons originali? È un racconto avventuroso, anche se del tipo strappalacrime che verrà imitato di lì a poco da “L’Intrepido”. Cose simili, sotto forma di narrativa disegnata, in Italia non si erano mai viste (altrove certo sì: in Belgio c’è, dal 1929, nientemeno che Tintin). C’erano state, e ci saranno ancora per molti anni, le cosiddette “dispense”, ovvero lunghissimi romanzi popolari diluiti in uno sterminato numero di fascicoli settimanali. Ma, appunto, nessun fumetto del genere, né sul Corrierino né altrove.

La cosa è ancora più notevole per le serie pubblicizzate sul verso del volantino:



Lucio l’avanguardista, a differenza della serie di Jennens, non è affatto “strappalacrime”. Il protagonista è un adolescente, sul tipo degli eroi alla Horatio Alger, ma con un’intraprendenza e un aplomb tutti britannici. Inglese è, per l’appunto, il suo autore, Walter Booth, che lo lanciò nel 1920 su “Puck” col nome di Rob The Rover. Anche su questa serie ci sono preziose informazioni in un bellissimo blog. Ma chi è, nel 1932, un “avanguardista”? E perché il suo aereo, con il quale esplora i luoghi più fantastici del vasto mondo, si chiama “Dux”? È uno dei più sconcertanti e a suo modo divertenti episodi di cui è costellata fittamente la storia del Fumetto in Italia, e lo vedremo nel prossimo post.

Segue Ken Trevor, il tamburino di Drake, opera di S. Pride e Yorick, anche loro inglesi. Su queste serie “avventurose”, che risuonano coi primi film “parlati” giunti in Italia, molti dei quali raccontano meravigliose avventure alle quali sono particolarmente sensibili gli adolescenti, si fonda lo strabiliante successo di Jumbo. Come vedremo nel prossimo post.

lunedì 18 gennaio 2010

Jumbo, finalmente (1932)


“Finalmente” perché?

Finora abbiamo parlato di un settimanale ben conosciuto, “Il Vittorioso”, ed esplorato un caso particolare, “Bombolo – Cine Comico” – quest’ultimo perché ce n’era stata offerta l’occasione dal “caso” Braccio di Ferro-Schiffìo, partito dal blog di Luca Boschi e rimbalzato in rete.

Ora, invece, è la volta di un vero e proprio scavo archeologico. Jumbo (1932) è infatti, per unanime parere degli storici del Fumetto (e per le testimonianze vive dei suoi lettori) il primo periodico a fumetti “moderno” italiano. Il problema è che tutti ne hanno parlato, in cinquant’anni di pubblicistica, ma nessuno ha mai affrontato lo studio del settimanale con criteri bibliografici e scientifici, certo anche per la rarità della collezione. Non che voglia farlo qui ed ora, per carità. Ma voglio provare a raccontare la storia del periodico come se fosse un vero e proprio scavo stratigrafico, per tornare alle favolose origini del Fumetto in Italia e del Fumetto italiano. Insomma, finalmente affronto un territorio vergine.




D’obbligo una scheda bibliografica:

JUMBO. A. 1, n. 1 (17 dic. 1932) - a. 7, n. 306 (13 nov. 1938) - 309 numeri - Milano: Società Anonima Editrice Vecchi (SAEV) [1932] - Fumetti b/n e color. ; 32x26 cm. - Settimanale. Dal n. 1 del 7 gen. 1933, la numerazione ricomincia da 1 fino al termine della testata.

Intendiamoci: questo settimanale è storicamente importante, ma i contenuti vi lasceranno sicuramente un po’ perplessi: fra il 1932 e il 1937 (inizio del Vittorioso, che abbiamo già visto) sembra passi un secolo, non pochi anni. Proprio col Vittorioso, se vogliamo, c’è un tenue collegamento: alcuni personaggi antropomorfi di produzione inglese apparsi su Jumbo somigliano agli “zoolandini” di Sebastiano Craveri, e forse i secondi derivano davvero dai primi. Ma di questo, semmai, parleremo poi.

Dunque facciamo un salto indietro al 17 dicembre 1932, quando il Fumetto moderno non è ancora arrivato in Italia. In realtà quest’affermazione può sembrare assai lontana dal vero, perché il Corriere dei Piccoli è sulla breccia dal lontano 1908, e vari suoi epigoni – alcuni di ispirazione cattolica; uno socialista, “Cuore” – sono nel frattempo sorti e tramontati. Ci sono state anche edizioni italiane di riviste francesi, contenenti pseudo-fumetti (come il primo “Intrepido” di Picco e Toselli). Quando però, il 17 dicembre 1932, esce il primo numero di Jumbo, è come una rivoluzione copernicana: le edicole sono prese d’assalto, e non è un’immagine retorica. Racconta lo storico Giorgio Salvucci, un testimone:

Jum..bo, Jum..bo, vo..glia..mo Jum..bo!!! Questa invocazione scandita da un gruppetto di ragazzini dai 7 ai 10 anni nelle orecchie di uno spazientito edicolante nel lontano 1933 (come protesta del ritardato arrivo del numero settimanale) ed il successivo arrembaggio alla cesta del ciclista – finalmente arrivato – per accaparrarsi la copia del sospirato giornaletto, sono fatti vissuti che pongono in tutta evidenza l’importanza dell’avvento di Jumbo nella storia del giornalismo italiano.”
(GIORGIO SALVUCCI, Il primo giornalino italiano, in: “Il Fumetto”)

Sfogliando oggi il primo numero di Jumbo, non si coglie appieno, almeno di primo acchito, questa carica rivoluzionaria: insomma, non è certo come con L’avventuroso. E allora?
Come necessaria premessa, ecco qua le pagine salienti del numero 51 del Corriere dei Piccoli, uscito il 18 dicembre 1932, contemporaneamente al n. 1 di Jumbo. Ci danno un’idea esatta di quel che leggevano i ragazzi italiani prima dell’ubriacatura “americana” degli anni Trenta:


Il grande Bonaventura del grandissimo Sergio Tofano



Antonio Rubino, uno dei “padri fondatori” del CdP


Una tipica rubrica educativa, illustrata dal notevole ma dimenticato Domenico Natoli, attivo fino agli anni Sessanta
 

Barney Google di Billy DeBeck, violentato e rimontato



Bringing Up Father (Arcibaldo e Petronilla) di George McManus



Marmittone di Bruno Angoletta



Sor Pampurio di Carlo Bisi



Niente meno che Felix The Cat (Mio Mao) di Otto Messmer/Pat Sullivan

Ho scelto le sole pagine a colori e con fumetti, tralasciando, tranne una, quelle contenenti redazionali, racconti illustrati, ecc., ovvero nove su un totale di sedici. Come si vede, sono tutte stelle di prima grandezza, capolavori immortali. E allora, perché l’uscita di Jumbo è tanto epocale?

Ho letto tutte le testimonianze, e anche parlato personalmente, oltre trent’anni fa, ma con contatti che si sono protratti fino ad oggi, con i “sopravvissuti” del 1932, ovvero con i lettori che acquistarono Jumbo in edicola. Essi erano e sono tutti concordi nel dire che quel settimanale fu un’autentica rivoluzione. I testimoni concordano soprattutto su una sensazione importante: Jumbo fu il primo giornale a fumetti che sentirono proprio loro, che li distinse da genitori e fratelli maggiori, in parte ostili al nuovo venuto. Non va dimenticato che il corrierino era per lo più imposto dai genitori.
Quindi credo di non esagerare dicendo che Jumbo fu la prima “bandiera generazionale”, come lo fu, trent’anni dopo, “Linus”. Cerchiamo di capire perché, se vi va.
Dal prossimo post.

giovedì 14 gennaio 2010

Il Vittorioso 1963-1966: si chiude…


Come abbiamo già visto, la crisi del Vittorioso accelera improvvisamente dopo il 1962: oltre a Jacovitti e a Craveri, anche Franco Caprioli dirada moltissimo le sue collaborazioni, che si riducono a qualche copertina e a dei pur pregevoli redazionali:



D’altra parte, la metà degli anni Sessanta, per il Fumetto, è una stagione sia di crisi (quando mai non ne ha conosciuta una, la nostra forma d’arte preferita?) che di epocali successi. Con autori del calibro di Romano Scarpa, Giovan Battista Carpi e tanti altri “disney italiani”, il settimanale “Topolino” raggiunge vette di oltre cinquecentomila copie settimanali vendute. Nel 1965 nasce “Linus”, che “sdogana” il Fumetto fra gli intellettuali e i lettori colti in genere. Sulle sue pagine fiorisce la prima stagione del cosiddetto fumetto d’autore, con capiscuola come Hugo Pratt e Guido Crepax. Anche il Fumetto “popolare” gode di ottima salute, con il Tex bonelliano e le produzioni dello studio EsseGesse (Blek Macigno e Capitan Miki); il suo contraltare autoriale vive una grande stagione creativa sul “Corriere dei Piccoli”.
E il Vittorioso? La sua crisi, come abbiamo visto, ha radici antiche, e l’abbandono delle grandi firme ne è più una conseguenza che una causa. Qualcuno, molto più in alto di Domenico Volpi e della sua affiatata redazione, ha probabilmente deciso che Il Vittorioso non è più utile nel contesto di una battaglia ideologica, in cui il Fumetto è solo una delle possibili armi : quindi, se le vendite non sono in grado di reggere da sole la pubblicazione, è inutile fornire sovvenzioni extra.

Se le cose sono andate davvero così, stupisce che il settimanale sia sopravvissuto per altri quattro anni. Il 1963/66 è infatti un periodo di grande difficoltà: si ricorre a una pletora di ristampe, riciclando perfino le copertine degli anni Cinquanta di Jacovitti, in cui le date, accanto alla firma, vengono cancellate, aggiornate oppure a volte lasciate pari pari. Nel 1965, la redazione ci regala una riedizione de Le Babbucce di Allah, un capolavoro di Costa e Jacovitti. Ne approfitto per mostrarvene una tavola, che a suo tempo ho riprodotto malamente:




Perfino le copertine celebrative dei primi e degli ultimi numeri di ogni annata, da sempre affidate ai grandi maestri (soprattutto Jac) e realizzate con gran fasto, sono adesso dei tristi collages di ristampe:






Si tenta di nuovo la carta del fotoromanzo, dandogli perfino l’onore della copertina. Una strizzata d'occhio al bondismo, che nel 1966 è già imperante:







Torna sporadicamente la prima pagina a fumetti: un tempo appannaggio di Craveri, Caesar e Jacovitti, adesso ospita perfino alcune serie di riempitivo; a volte, anzi, sembra che venga impaginato quello che capita sottomano:



Per il resto, molte copertine fotografiche, anche interessanti e con riferimenti a scottanti argomenti di attualità:






Nel 1963, un articolo sulla segregazione razziale negli Stati Uniti e uno sull’Unione Europea, gettano sull’apparato giornalistico del Vittorioso una gran luce di impegno civile:




Ma anche il galoppante consumismo reclama i suoi spazi, con pubblicità a piena pagina e redazionali di supporto:






La musica è ormai protagonista del settimanale, specialmente con Lo Zecchino d’oro. Fino al 1965, alla manifestazione canora organizzata dall’Antoniano di Bologna è dedicato ampio spazio, con alcune copertine - splendide - di Gianni De Luca, che ritraggono I popolarissimi Mago Zurlì (Cino Tortorella) e Richetto (Peppino Mazzullo):












Poi è evidente che si abbandonano i bambini per passare agli adolescenti. E proprio la musica è il naturale mezzo di “aggancio” delle nuove generazioni. Si cerca di “cavalcare” i nuovi idoli giovanili, a cominciare dai cantanti di successo e dagli attori televisivi:













C’è una rubrica di novità discografiche, in cui si parla anche dei Beatles e dei Rolling Stones: nella pagina seguente, si recensisce brevemente lo storico album Revolver dei Beatles:




Un lettore coglie l’essenza della swinging London:




Mentre anche l’industria aggredisce il mercato dei quattordicenni:




E naturalmente non manca lo sport, da sempre una delle colonne del settimanale:







Una rubrica di libri si occupa anche delle prime ristampe filologiche di fumetti d’epoca! Il volume di Braccio di Ferro, segnalato con tanto di copertina, fa parte della leggendaria serie Garzanti de "L'età d'oro del Fumetto", ed è il primo a riproporre in modo consapevole e perfino filologico l'immortale serie di Elzie C. Segar. E' una delle primissime volte che si parla esplicitamente di "collezionisti di fumetti": l'anno è il 1966, c'è già stata la prima Lucca, e Linus pubblica articoli sul comicdom internazionale.




Ma in mezzo a questa gran messe di rubriche, intelligenti, informative, curiose e drammatiche, che farebbero pensare ad un periodico vivo e vitale, manca qualcosa di fondamentale, ovvero i grandi fumetti dei grandi autori, com'era sempre stato nella lunga storia del Vittorioso: i lettori ne sono pienamente consapevoli, e li reclamano. La redazione ammette tutto quanto, più o meno tra le righe di varie risposte. Ma c’è ben poco da fare. Ormai è stata decisa in alto loco la trasformazione radicale del giornale, che si trasformerà in rivista con il primo numero dell’anno 1967.
Intanto, però, a diffusione del settimanale, com’è naturale, scende progressivamente, fino a livelli minimi: fra i miei personali ricordi di assiduo frequentatore delle edicole, nel 1966, non c’è traccia del Vittorioso! Scoprii il periodico solo nella sua successiva incarnazione.

La redazione pianifica un radicale restyling del settimanale e si prepara all’epocale cambiamento. Ma, a metà del 1966, il colpo di scena: la proprietà decide di liquidare non solo la vecchia formula del “giornale”, ma anche lo staff, quasi al completo, e di riedificare il periodico su basi completamente nuove. È un colpo evidentemente imprevisto. Cade anche Domenico Volpi, il “redcap”, l’anima del Vittorioso da decenni, che saluta con struggente malinconia i lettori:







Avete letto che amarezza, nelle frasi di Volpi? Non tanto nell'editoriale, quanto nelle risposte ai lettori. C'è perfino una stoccata niente male al Direttore Responsabile...
Ecco l’ultima copertina:




E così, esattamente trent’anni dopo il suo esordio (meno una settimana), “Il Vittorioso” chiude i battenti. In realtà, almeno ufficialmente, l’avventura come si è detto prosegue sul “Vitt” (1967/70), con la stessa numerazione della storica testata.
Ma il Vitt non ce l’ho, quindi col prossimo post passerò a tutt’altre cose, molto più antiche. Anzi, racconterò la storia del Fumetto in Italia più o meno dall’inizio… Sempre che vi interessi, ovviamente. ;-)