Come abbiamo già visto, la crisi del Vittorioso accelera improvvisamente dopo il 1962: oltre a Jacovitti e a Craveri, anche Franco Caprioli dirada moltissimo le sue collaborazioni, che si riducono a qualche copertina e a dei pur pregevoli redazionali:
D’altra parte, la metà degli anni Sessanta, per il Fumetto, è una stagione sia di crisi (quando mai non ne ha conosciuta una, la nostra forma d’arte preferita?) che di epocali successi. Con autori del calibro di Romano Scarpa, Giovan Battista Carpi e tanti altri “disney italiani”, il settimanale “Topolino” raggiunge vette di oltre cinquecentomila copie settimanali vendute. Nel 1965 nasce “Linus”, che “sdogana” il Fumetto fra gli intellettuali e i lettori colti in genere. Sulle sue pagine fiorisce la prima stagione del cosiddetto fumetto d’autore, con capiscuola come Hugo Pratt e Guido Crepax. Anche il Fumetto “popolare” gode di ottima salute, con il Tex bonelliano e le produzioni dello studio EsseGesse (Blek Macigno e Capitan Miki); il suo contraltare autoriale vive una grande stagione creativa sul “Corriere dei Piccoli”.
E il Vittorioso? La sua crisi, come abbiamo visto, ha radici antiche, e l’abbandono delle grandi firme ne è più una conseguenza che una causa. Qualcuno, molto più in alto di Domenico Volpi e della sua affiatata redazione, ha probabilmente deciso che Il Vittorioso non è più utile nel contesto di una battaglia ideologica, in cui il Fumetto è solo una delle possibili armi : quindi, se le vendite non sono in grado di reggere da sole la pubblicazione, è inutile fornire sovvenzioni extra.
Se le cose sono andate davvero così, stupisce che il settimanale sia sopravvissuto per altri quattro anni. Il 1963/66 è infatti un periodo di grande difficoltà: si ricorre a una pletora di ristampe, riciclando perfino le copertine degli anni Cinquanta di Jacovitti, in cui le date, accanto alla firma, vengono cancellate, aggiornate oppure a volte lasciate pari pari. Nel 1965, la redazione ci regala una riedizione de Le Babbucce di Allah, un capolavoro di Costa e Jacovitti. Ne approfitto per mostrarvene una tavola, che a suo tempo ho riprodotto malamente:
Perfino le copertine celebrative dei primi e degli ultimi numeri di ogni annata, da sempre affidate ai grandi maestri (soprattutto Jac) e realizzate con gran fasto, sono adesso dei tristi collages di ristampe:
Si tenta di nuovo la carta del fotoromanzo, dandogli perfino l’onore della copertina. Una strizzata d'occhio al bondismo, che nel 1966 è già imperante:
Torna sporadicamente la prima pagina a fumetti: un tempo appannaggio di Craveri, Caesar e Jacovitti, adesso ospita perfino alcune serie di riempitivo; a volte, anzi, sembra che venga impaginato quello che capita sottomano:
Per il resto, molte copertine fotografiche, anche interessanti e con riferimenti a scottanti argomenti di attualità:
Nel 1963, un articolo sulla segregazione razziale negli Stati Uniti e uno sull’Unione Europea, gettano sull’apparato giornalistico del Vittorioso una gran luce di impegno civile:
Ma anche il galoppante consumismo reclama i suoi spazi, con pubblicità a piena pagina e redazionali di supporto:
La musica è ormai protagonista del settimanale, specialmente con Lo Zecchino d’oro. Fino al 1965, alla manifestazione canora organizzata dall’Antoniano di Bologna è dedicato ampio spazio, con alcune copertine - splendide - di Gianni De Luca, che ritraggono I popolarissimi Mago Zurlì (Cino Tortorella) e Richetto (Peppino Mazzullo):
Poi è evidente che si abbandonano i bambini per passare agli adolescenti. E proprio la musica è il naturale mezzo di “aggancio” delle nuove generazioni. Si cerca di “cavalcare” i nuovi idoli giovanili, a cominciare dai cantanti di successo e dagli attori televisivi:
C’è una rubrica di novità discografiche, in cui si parla anche dei Beatles e dei Rolling Stones: nella pagina seguente, si recensisce brevemente lo storico album Revolver dei Beatles:
Un lettore coglie l’essenza della swinging London:
Mentre anche l’industria aggredisce il mercato dei quattordicenni:
E naturalmente non manca lo sport, da sempre una delle colonne del settimanale:
Una rubrica di libri si occupa anche delle prime ristampe filologiche di fumetti d’epoca! Il volume di Braccio di Ferro, segnalato con tanto di copertina, fa parte della leggendaria serie Garzanti de "L'età d'oro del Fumetto", ed è il primo a riproporre in modo consapevole e perfino filologico l'immortale serie di Elzie C. Segar. E' una delle primissime volte che si parla esplicitamente di "collezionisti di fumetti": l'anno è il 1966, c'è già stata la prima Lucca, e Linus pubblica articoli sul comicdom internazionale.
Ma in mezzo a questa gran messe di rubriche, intelligenti, informative, curiose e drammatiche, che farebbero pensare ad un periodico vivo e vitale, manca qualcosa di fondamentale, ovvero i grandi fumetti dei grandi autori, com'era sempre stato nella lunga storia del Vittorioso: i lettori ne sono pienamente consapevoli, e li reclamano. La redazione ammette tutto quanto, più o meno tra le righe di varie risposte. Ma c’è ben poco da fare. Ormai è stata decisa in alto loco la trasformazione radicale del giornale, che si trasformerà in rivista con il primo numero dell’anno 1967.
Intanto, però, a diffusione del settimanale, com’è naturale, scende progressivamente, fino a livelli minimi: fra i miei personali ricordi di assiduo frequentatore delle edicole, nel 1966, non c’è traccia del Vittorioso! Scoprii il periodico solo nella sua successiva incarnazione.La redazione pianifica un radicale restyling del settimanale e si prepara all’epocale cambiamento. Ma, a metà del 1966, il colpo di scena: la proprietà decide di liquidare non solo la vecchia formula del “giornale”, ma anche lo staff, quasi al completo, e di riedificare il periodico su basi completamente nuove. È un colpo evidentemente imprevisto. Cade anche Domenico Volpi, il “redcap”, l’anima del Vittorioso da decenni, che saluta con struggente malinconia i lettori:
Avete letto che amarezza, nelle frasi di Volpi? Non tanto nell'editoriale, quanto nelle risposte ai lettori. C'è perfino una stoccata niente male al Direttore Responsabile...
Ecco l’ultima copertina:E così, esattamente trent’anni dopo il suo esordio (meno una settimana), “Il Vittorioso” chiude i battenti. In realtà, almeno ufficialmente, l’avventura come si è detto prosegue sul “Vitt” (1967/70), con la stessa numerazione della storica testata.
Ma il Vitt non ce l’ho, quindi col prossimo post passerò a tutt’altre cose, molto più antiche. Anzi, racconterò la storia del Fumetto in Italia più o meno dall’inizio… Sempre che vi interessi, ovviamente. ;-)