1934, fine
Flash Gordon, come ho già detto, è una storia a soggetto, senza sceneggiatura pianificata. Le cose accadono in modo apparentemente casuale e le situazioni si ripetono spesso uguali (Gordon salva la ragazza di turno in pericolo dal mostro in agguato), con minime variazioni sul tema: si chiama iterazione narrativa. L’autore dei testi (Don Moore o forse Raymond stesso, all’inizio) non sa bene dove andare a parare. L’effetto, spesso, è irritante; talvolta involontariamente comico. Talvolta, dico: perché la carica avventurosa e la forza profonda di questo fumetto, come altri degli anni Trenta, colpiscono ancora oggi, nel 2010.
Ma i “difetti” riguardano solo i primi mesi di produzione. La saga di Gordon acquisterà via via una struttura organica, anche se non si affrancherà mai completamente dall’iterazione, che peraltro è una caratteristica peculiare del Fumetto sindacato americano, specie di quello domenicale. Gli sviluppi del soggetto, già dal 1935, vedranno la lotta vittoriosa di Gordon e dei ribelli di Mongo contro il dittatore Ming, in questo superando i modelli delle pulps e anche quelli cinematografici, soprattutto per l’ampissimo respiro narrativo (almeno quattro anni, per il primo ciclo). L’epopea sword and sorcery di Flash Gordon, fra il 1934 e il 1938, influenzerà profondamente narrativa e cinema, oltre naturalmente il Fumetto internazionale: e mentre è accettato che ne sia fortemente debitore un ciclo cinematografico come Star Wars, forse parrà eccessivo includerla fra gli ispiratori di Sir John Ronald Reuel Tolkien, le cui opere ambientate nella Terra di Mezzo furono pubblicate giusto fra il 1937 e il 1955.
L’abilità grafica di Alex Raymond migliora di settimana in settimana, e molto presto si troverà stretta nella gabbia di dodici picole vignette per tavola (Nerbini ne pubblica quindici, sfruttando il formato de L’avventuroso):
Si affina anche la capacità visionaria degli autori, ancora acerba e a volte graficamente (e logicamente) incoerente, ma con un’inventiva tale da lasciare, ancora oggi, a bocca aperta:
L’incredibile successo di Gordon non si basa solo sul senso del meraviglioso e sul thrilling avventuroso. È importante anche l’aspetto sentimentale e romantico, che si lega a quello sessuale, catturando anche il pubblico femminile:
Eccolo, evocato nello scorso post, Dashiell Hammett in persona: suoi sono i testi di Agente segreto X9, disegnato dal fenomeno Alex Raymond. Ci sono donne sensuali, abiti eleganti, ambienti lussuosi, automobili da sogno. Raymond, in questa serie, sembra quasi uno stilista di moda, ed è notevole la sua capacità di adattare lo stile grafico a situazioni profondamente diverse tra loro, mantenendo intatto lo stesso, fenomenale, glamour. Ne L’agente segreto X9 c’è molta violenza, sia pure “patinata” rispetto a quella di Sullivan e Schmidt:
La prima storia di X9, su soggetto di Dashiell Hammett – come i due episodi successivi – è sceneggiata da James H.S. Moynihan (grazie, Fortunato!). Contiene alcune scene decisamente “forti”, non solo per il 1934 e il pubblico dei ragazzi italiani:
Fortissima (sempre per il 1934, ma non solo) anche carica erotica, per lo più implicita, ma a volte anche no:
Visto che siamo nel 1934, e che appena due anni fa, per il pubblico dei ragazzi, c’erano solo il Corriere dei Piccoli e al massimo Lucio l’avanguardista di Jumbo, è singolare che Nerbini pubblichi i fumetti del KFS con tanta tranquillità. Non c’è infatti ombra di autocensura, in questi primi numeri. Anche la serie Radio Patrol, che nel ’35 proporrà alcune sequenze addirittura più “spinte” di quelle di Hammett e Raymond, si chiama col suo nome originale: sarà ribattezzata Radio Pattuglia della polizia solo in seguito.
Mario Nerbini, ex squadrista, ben ammanicato nel partito, probabilmente si crede invincibile e onnipotente, e del resto il suo fiuto editoriale è innegabile, così come il suo efficacissimo gusto popolaresco. Il successo va oltre ogni più rosea aspettativa e da Firenze parte una reazione a catena che costringerà a profondi mutamenti tutta l’editoria italiana, non solo per ragazzi.
Nessuno, fino al 1938 inoltrato, toccherà in effetti Nerbini, con interventi di censura, tanto meno preventiva.
Meno chiare, per carenza di vere ricerche storiche sull’argomento, sono le reazioni che L’avventuroso provoca, in questo primo anno, fra le alte sfere del partito e nei circoli “che contano”, allineati o meno col regime.
Nei primi anni del fascismo il controllo della stampa italiana avveniva attraverso l'Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio, un organismo che Mussolini, nel 1923, aveva accentrato presso di sé in considerazione della sua importanza ai fini politici.
Tra il 1923 e il 1928 il fascismo, con una serie di provvedimenti legislativi, soppresse la libertà di stampa in Italia.
Successivamente, nel 1934, un decreto legge trasformò l'Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio in un Sottosegretariato per la Stampa e la Propaganda che, articolato su tre Direzioni Generali, assunse le competenze riguardanti: Stampa italiana; Stampa estera; Propaganda.
Con R.D.L. 24.6.1935 il Sottosegretariato fu elevato a Ministero per la Stampa e la Propaganda.
Nel 1937, infine, la denominazione di Ministero per la Stampa fu modificata in quella di Ministero della Cultura Popolare: era nato così quello che venne subito definito Minculpop.
(GIANCARLO OTTAVIANI, Le veline di Mussolini)
Dino Alfieri, dal 1935, sarà sottosegretario alla Stampa e Propaganda, supplendo al ministro Galeazzo Ciano impegnato in Etiopia. Diventerà il primo Ministro del Cultura Popolare nel 1937. Si racconta (ricerche di Ferraro, Vené e altri, le vedremo più avanti) che Alfieri abbia portato a Mussolini i primi numeri de L’Avventuroso, segnalandogli la “pericolosità” del periodico, ma che il duce non abbia preso in considerazione seriamente la cosa. D’altra parte, senza però fornire adeguata documentazione, Ezio Ferraro dice, parlando di Lotario Vecchi e della SAEV:
A parte ogni considerazione sul materiale della KFS, il lettore è pregato di leggere più avanti il capitolo riguardante l'attività di Vecchi in Francia, si tenga presente che la SAEV, boicottata già dal fascismo nelle sue pubblicazioni, non poteva certo avventurarsi nel campo minato dei racconti pieni di violenza tipo X-9, La Radio Pattuglia e Gordon.
Se per Robinson si dovette ricorrere al trucco di Varese, figurarsi cosa sarebbe successo con un periodico simile a l'Avventuroso.
Il problema si presentava diversamente per Nerbini. Nell'ambiente toscano era considerato un editore fascista di stretta osservanza. Non aveva lesinato a mettersi in vista prima dell'avvento della dittatura solidarizzando con Mussolini e le sue squadre, di cui fece parte, e più tardi con il 420 un periodico umoristico.
Ad un camerata della prima ora non si poteva negare un favore anche se fu concesso, bisogna dirlo, a denti stretti. C'era poi di mezzo la complicata faccenda della cessione della testata di Topolino; per cui non riesce difficile arguire che un'altra mano gli fu data per altre vie. Se si considera poi che i diritti venivano accreditati sul conto personale di Benito Mussolini [il grassetto è ns., ndr] - come già scrivemmo - si possono trarre le logiche conclusioni.
(EZIO FERRARO, Lotario Vecchi Editore, op. cit.)
Un segnale indiretto, ma significativo, che qualcosa si era comunque mosso, già dopo l’uscita dei primi numeri de L’avventuroso, è costituito da alcuni interventi di autocensura di Nerbini, a partire dai primi mesi del 1935. Si tratterà, come vedremo, dell’eliminazione dei copyright – antiestetici o troppo “americani”? – di alcuni piccoli tagli e di molte mascherature, di cui cadranno vittime le “donnine” raymondiane.
Ben fatti, gli interventi censori di Nerbini sfuggono ai lettori contemporanei e anche agli esegeti degli anni Sessanta: saranno rivelati solo dalle prime riedizioni filologiche della saga raymondiana. Altri invece passeranno insospettati fino agli anni Novanta e oltre, come quelli, rivelati da yours truly, su Mandrake di Lee Falk e Phil Davis. Ma ne parleremo nella prossima puntata.
I due fumetti italiani pubblicati su L’avventuroso del 1934, uno di Giorgio Scudellari e l’altro dell’illustratore Corrado Sarri, appaiono clamorosamente fuori posto e vengono ignorati dai lettori. Gli autori italiani che riusciranno a ritagliarsi un proprio spazio sulle pagine del giornalone nerbiniano, dopo il ’35, saranno quelli in grado di assimilare presto e bene lo stile americano, sia dal lato narrativo che grafico: per il primo periodo, soprattutto Giove Toppi e Ferdinando Vichi; in seguito Mario Tempesti e Aurelio Galleppini, il creatore grafico di Tex Willer.
Il menabò de L’avventuroso offre per ultimo Jim della Giungla (Jungle Jim), che è il topper della pagina dei supplementi domenicali dedicata a Flash Gordon. Dunque Alex Raymond è il disegnatore di ben quattro facciate (su otto) del settimanale! Ciò è alle radici dell’autentico mito incarnato in Italia dal disegnatore americano, che influenzerà e condizionerà pesantemente gran parte dei nostri autori, fino agli anni Sessanta e oltre. Non va dimenticato infatti che quasi tutti gli autori nati fra la metà e la fine degli anni Venti, e dunque in piena attività tre decenni dopo, si formano sulle pagine de L’avventuroso, per loro precisa ammissione: mi piace ricordare qui Romano Scarpa, Carlo Chendi, Luciano Bottaro.
Jungle Jim, nato con l’intento di contrastare il successo del Tarzan di Harold Foster, è il fumetto che ha retto meno al tempo, ma ha un suo fascino particolare, sottilmente inquietante.
Jim offrirà ai lettori almeno una bella storia avventurosa (Jim contro Cho Fang) e un ciclo splendidamente disegnato, fra il 1937 e il ’38. Per il momento, comunque, è quello che piace meno ai lettori italiani, e presto sarà relegato in una meno prestigiosa pagina interna del settimanale.
Ecco l’ultimo numero del 1934:
Con il 1935 arrivano i primi grandi cambiamenti, compreso un epocale nuovo personaggio.
Un documento originale
Come arrivano i fumetti a Nerbini? In epoca pre-offset, gli americani spediscono sia i flani, ovvero cartoni in rilevo usati come matrici per produrre gli zinchi, che le patinate (proofs), ovvero stampe perfette, in positivo, da riprodurre in modo fotomeccanico. Eccone un paio, provenienti direttamente dal disperso archivio Nerbini:
Sono in quadricromia (nero, rosso, giallo, blu). Mentre Vecchi rispetta e usa i cliché originali, come si è già detto, Mario Nerbini, per risparmiare un passaggio di stampa, ricolora tutto in tricromia (rosso, giallo, blu), ottenendo il nero dalla sovrapposizione del rosso con il blu.
La prima, di Jungle Jim, è il top della tavola del 5 giugno 1934. La seconda è la tavola domenicale di Flash Gordon dell’8 aprile 1935. Notate l’annotazione, a matita, del numero de L’avventuroso in cui la tavola fu poi pubblicata. Così abbiamo già un’idea dell’incredibile evoluzione del segno di Raymond, in poco più di un anno dall’esordio della serie.
Non credo che l'unica sceneggiatura di Hammett sia "Il Dominatore", dato che mi risulta che Hammett avesse un contratto per creare il personaggio e per scriverlo per un anno.
RispondiEliminaPer cui, se il suo contratto scadeva a gennaio del 1935, devono presumibilmente essere suoi anche i soggetti del secondo (Il Mistero dei Fucili Silenziosi) e del terzo episodio (L'Affare Martyn).
E dico i soggetti, perché non sono affatto convinto che Hammett facesse di più (è appurato che i primi mesi del fumetto furono sceneggiati da James H.S. Moynihan, un suo assistente).
Alcune fonti, comunque, attribuiscono ad Hammett anche il breve quarto episodio (I Falsari di Marbury).
Grazie infinite, Fortunato: certi dati sono sepolti nelle monografie americane, e non ho né la tua cultura e preparazione specifica, né (più) la memoria per ricordarmene! La tua collaborazione è veramente preziosa, per dare a questo blog una parvenza di attendibilità storica.
RispondiEliminaSegnalo, se può interessare, di avere redatto una versione ebook di "Radio pattuglia della Polizia" (Radio Patrol).
RispondiEliminaSi tratta di un'esperienza particolare poiché i tratti dei disegni si possono apprezzare nei più piccoli dettagli... Per chi volesse leggere l'anteprima: http://goo.gl/WTYyRy
ciao ragazzi, confermo al cento per cento quello che ha detto Fortunato: sono una traduttrice di fumetti e l'anno scorso ho lavorato in Marvel.. ho appena finito (sto finendo) di tradurre agente segreto X-9 e pare che anche "I Falsari di Marbury" siano di Hammett, anche se io non credo. Lo stile di Hammett è bello ma un pò "noiosetto" e ripetitivo.. inoltre il suo sarcasmo pungente si riconosce subito.. un saluto e grazie per questo utile articolo!
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