sabato 25 aprile 2009

Viaggio intorno alla mia biblioteca - scaffale 9

Il Vittorioso 1944/46

Quel che succede nel 1944 è molto interessante. Il 4 giugno la Quinta Armata americana al comando del generale Mark W. Clark arriva a Roma, già sgomberata dai tedeschi. Viene istituito un ufficio, il PWB (Psychological Warfare Branch) che ha la responsabilità di concedere o negare permessi di stampa per periodici e libri: in pratica, si sostituisce pari pari al MinCulPop. Con i grandi gruppi editoriali bloccati a Nord, sopra la linea Gotica, negli uffici del PWB si precipitano vari editori, più o meno improvvisati, che sperano di “sfilare” i grandi comics americani a Nerbini e Mondadori. Qualcuno ci riesce anche, come vedremo più in là. Molto per tempo, l’AVE ha preparato il suo ritorno in edicola, che avviene, ufficialmente, lo stesso giorno della Liberazione della Capitale!
Il menabò del primo numero è simile a quello dell’ultimo del 1943:

Il numero, come quelli successivi, è stato messo insieme prima della forzata interruzione delle uscite: l’assenza dei balloons, d’altronde, ne è un indizio eloquente. Stessa carta, stessa malinconica bicromia. Ma la cosa davvero curiosa è che la gerenza del settimanale riporta ancora l’autorizzazione del Ministero della Cultura Popolare, che sparirà solo col terzo numero! Evidentemente non si è fatto in tempo ad ottenere quella del PWB, e dunque, in ossequio all’autorità, quale essa sia, si preferisce lasciare la vecchia dicitura, sia pure tra virgolette. Nel 1944, accade questo e ben altro…
Caramba di Jacovitti, a cui mancava solo una tavola per la conclusione, viene depennato con pochi complimenti (come è accennato nell’editoriale: la tavola finale vedrà la luce solo in albo) e sostituito con una storia già disegnata dal grande termolese, che in quel periodo è ancora nascosto a Firenze. La storia, fra le più “dense” e surreali di Jac, è Chicchirichi (l’accento va sulla penultima i):
Satira del gangsterismo americano, forse inizialmente ispirata dalla propaganda fascista, Chicchirichi è un trionfo di disegno quasi espressionista, ormai pienamente maturo. Un’autentica orgia di “cartelli”, deliziosamente folli e surreali, solo apparentemente senza senso, inaugura un vero e proprio nuovo linguaggio, che Jac affinerà con gli anni, fino a giungere a un’autentica nuova forma letteraria in Coccobill e soprattutto in Zorrykid:

Forse i “cartelli” nascono per reagire alle proibizioni del MinCulPop, ma diventano subito una nuova arma nelle mani del giovanissimo, vulcanico autore. Abbondano le “panoramiche”:

Mentre il materiale già consegnato da Jacovitti sembra inesauribile, di Sebastiano Craveri, immobilizzato a Nord, a Carmagnola, c’è solo la storia iniziata nel 1943, Ritorna la macchina:
Alla conclusione dell’episodio, in mancanza di altro materiale, la redazione allestisce, con un forsennato taglia e incolla delle sue vecchie tavole, una storia posticcia, Che succede a Patatruk?!:
La storia “arrangiata” si conclude, e ancora non è possibile ottenere nuove storie da Craveri, mentre Jacovitti imperversa. La redazione, su testi di Piercostante Righini, allestisce un secondo collage con Il gran Pirata. Siamo già in pieno 1945, col Vittorioso finalmente di nuovo a quattro colori, quando finalmente appare una storia “nuova”, ancora con le didascalie e senza i contorni delle vignette, quindi senz’altro disegnata nel 1943, Il mistero del contrabbasso:
La prima storia veramente nuova di Craveri, con i balloons, è L’allegra cometa, un curioso exploit fantascientifico che esce a cavallo tra il 1945 e il 1946:

Ma non ci sono, ovviamente, solo Jac e Craveri, sul Vittorioso di questo immediato Dopoguerra. Oggi è il 25 aprile, e mi sembra un modo assai degno di ricordare questa data storica, pubblicando qualche vignetta di una storia apparsa sul Vittorioso proprio nel 1945, I ragazzi di Piazza Cinquecento, di Raffaele Paparella:

Credo sia quasi un unicum, nella storia del Fumetto italiano: è, difatti, una storia autenticamente celebrativa della Resistenza romana, quasi neorealista, e che sia apparsa sul settimanale cattolico è un fatto degno di nota. Non voglio certo affermare che si tratti di un’opera paragonabile, tanto per dire, alla contemporanea Roma città aperta di Rossellini, ma nemmeno a Roma, città libera di Marcello Pagliero. Però nello stesso periodo non c’è nulla, almeno a fumetti, che stia alla pari con questo interessante – e rarissimo – episodio a fumetti: non certo il contemporaneo Cuore Garibaldino apparso su L’Intrepido, né l’esotica saga di Boris il vendicatore (un partigiano sovietico) pubblicata nello stesso giro di mesi sul settimanale Fulmine. Forse solo la primissima parte di Sciuscià (il fumetto, ovviamente), ha un po’ di profumo di verità. Non mancheranno altri esperimenti “veristi”, sul Vittorioso, ma non saranno mai tanto immediati come I ragazzi di Piazza Cinquecento:




domenica 19 aprile 2009

Il giornale delle meraviglie - fine

Ecco le ultime sei tavole di Kurt Caesar dal Giornale delle Meraviglie (1938). Col prossimo post, riprendiamo l'avventura del Vittorioso.







sabato 18 aprile 2009

Caesar in Francia (inedito in Italia)

L'amico Sergio mi ha inviato due preziosi scan, a corredo del suo commento al mio precedente post, in cui giustamente fa notare che Kurt Caesar "...qualche anno prima aveva deliziato i ragazzi d'Oltralpe illustrando con splendide fastose tavole di suggestiva impostazione grafica la saga di fantascienza Conquérant de l'avenir, apparsa dal n. 1 al n. 40 del 1936, sulle pagine dell' Aventureux, un settimanale a fumetti che l'editore italiano Cino Del Duca, ovvero l'Editions Mondiales, stampava con successo in Francia."
Affascinante: sia il fumetto in sé, che deve aver ispirato Pellos per il suo Futuropolis, apparso sul settimanale Junior nel 1937/38, sia il fatto che ci siano tesori nascosti della nostra Narrativa Grafica, pubblicati, chissà perché, solo all'estero... Niente di nuovo sotto il sole, ahimè.


venerdì 17 aprile 2009

L’opera più “grande” di Kurt Caesar

Approfitto del lungo viaggio attraverso Il Vittorioso per condividere l’opera forse meno conosciuta di Kurt Caesar (uno degli pseudonimi di Kurt Kaiser), l’autore di Romano il legionario, disegnatore un tempo popolarissimo e oggi praticamente dimenticato. Si tratta di dodici tavole… quasi a fumetti, di grandissimo formato (come un quotidiano di allora, circa cm. 60 x 43) pubblicate nel 1938 sui numeri da 49 a 60 del settimanale di divulgazione tecnico-scientifica Il giornale delle meraviglie, forse il più curioso e “schizofrenico” periodico italiano degli anni Trenta. Le tavole di Caesar sono di argomento fantascientifico e propongono visioni futuribili ancora oggi inquietanti, forse fra le migliori cose prodotte dall’illustrazione italiana nell’anteguerra. Caesar sarebbe poi diventato, negli anni cinquanta, il copertinista di Urania. Ed è per questa sua ultima attività, che ancora vanta un manipolo di fan, e – caso raro, in Italia – un’accurata voce di Wikipedia, a cui rimando volentieri.
Queste tavole sono praticamente inedite, ed è difficile, proprio per il formato fuori dell’usuale e la pessima carta su cui erano stampate, trovarle sul mercato. Spero di rendere un po’ di giustizia a Caesar a riprodurle qui, malgrado la scarsissima qualità delle mie fotografie: una è comunque reperibile sul web, in ottima qualità, a questo indirizzo, nel bel sito del Museo della figurina di Modena. Cominciamo con le prime sei (nn. 49/54):







lunedì 13 aprile 2009

Il Vittorioso 1942/43

Le fortune del Vittorioso, artistiche e commerciali, seguono la falsariga delle altre testate a fumetti coeve, sia pure in una “corsia preferenziale” offerta dalla distribuzione parallela del circuito parrocchiale: le sanzioni antiamericane del 1938 ovviamente non toccano il “sempre più bello”, come orgogliosamente si autodefinisce il settimanale, ma le altre imposizioni, che riguardano la percentuale di fumetti e testo, costringono la redazione a modificare il menabò del giornale, appesantendolo con molte rubriche scritte e sacrificando alcune tavole. Nel 1939, con L’avventuroso in piena forzata crisi e Topolino che sta ancora affinando le armi per supplire alla mancanza delle serie americane, Il Vittorioso ha una finestra di notevole popolarità.
L’entrata in guerra dell’Italia non porta inizialmente a visibili cambiamenti, ma la penuria di carta e le conseguenze dei primi bombardamenti si fanno sentire già alla fine del 1941, quando il settimanale modifica il suo formato, con un brevissimo esperimento quasi tascabile, per assestarsi poi su una dimensione inferiore a quella degli anni precedenti, ma sempre in linea con le forme del “giornale” classico:
Nel 1941, L’avventuroso recupera alcune sue serie classiche americane, en travesti (lo vedremo magari a suo tempo) e Topolino è lanciatissimo con la sua formidabile squadriglia di grandi autori italiani. Gian Luigi Bonelli reagisce assoldando un altro grandissimo disegnatore, Raffaele Paparella, che in seguito passerà a Mondadori:
Anche il giovane Walter Molino viene cooptato, ma il prolificissimo autore “tira via”: d’altra parte in quegli anni lavora quasi in contemporanea anche per L’intrepido e Argentovivo! mentre i suoi capolavori li riserva, nel 1939, al neo-mondadoriano Audace, specie col leggendario ciclo di Virus.
Il 7 dicembre 1941 gli Stati Uniti entrano in guerra. Nuove disposizioni governative, stavolta dirette a colpire, più che le importazioni straniere, il Fumetto nella sua struttura intima, interessano anche Il Vittorioso: viene proibito l’uso della “nuvoletta”, ovvero il demo-plutocratico balloon. Ogni editore corre ai ripari a suo modo: Mondadori, furbescamente, si limita a spostare i dialoghi in calce alle vignette e a togliere semplicemente il contorno della nuvoletta; il Vitt ricorre invece a pesanti didascalie. Jacovitti, a metà di Forza Pippo, trova una sua originale strada, tutta visuale:
Intanto, ad aprile, Jacovitti conquista l’onore dell’ultima pagina, a colori, con la sua prima storia di grande respiro: Alì Babà e i quaranta ladroni. Un colpo durissimo per Craveri, relegato all’interno del settimanale, e un’opportunità straordinaria per il giovanissimo Jac, che per l’occasione dà sfogo a tutta la sua potente carica surreale. In questa peraltro acerba storia, in nuce, ci sono già elementi strutturali del grandissimo Jac degli anni a venire.
A parte Craveri e Jacovitti, nel 1942 c’è ben poco d’altro, sul giornale. Caesar è richiamato in guerra, sul fronte africano, dal quale invia le sue collaborazioni sia al Vitt che a Topolino:
Eroismi e medaglie d’oro si sprecano, poi, quando le sorti belliche dell’Asse cominciano a declinare, la propaganda si dirada. Col 1943, e i terribili bombardamenti angloamericani che distruggeranno mezza Italia, si apre il più terribile biennio della Storia nazionale. Gli Alleati sbarcano in Sicilia; il 25 luglio cade il Fascismo, l’8 settembre il governo Badoglio firma l’armistizio, ma l’esercito e tutto lo Stato si sbandano, ed entro la metà del mese i nazisti liberano Mussolini dalla prigionia e gli impongono la direzione di una repubblica-fantoccio, a nord della linea del fronte. L’Italia è spezzata in due. Il Vittorioso, come gli altri giornali a fumetti, cerca di resistere. Lo stakanovista Jac disegna in contemporanea le storie in nero e quelle a colori, mentre collabora anche alla concorrenza. Celebra la vittoria dell’editore in una causa civile intentata alla redazione dagli eredi di Salgari:



Tutto questo forsennato lavoro porta ad una maturazione precoce dello stile di Jacovitti: ben presto, infatti, il non ancora ventenne autore è padrone assoluto di varie tecniche, dalla mezza tinta al tratteggio, ed affolla le sue tavole con un caos controllato che ormai ha raggiunto vette artistiche.

In Caramba (febbraio/dicembre 1943), storia che sarà interrotta dagli eventi bellici, c’è già una premonizione di Zorrykid:
Ma le cose precipitano. A settembre, quasi tutti i settimanali ancora in edicola spariscono dalla circolazione. A dicembre, sia Il Vittorioso che Topolino e L’Intrepido mettono in giro – ma sono reperibili per lo più alle edicole delle stazioni ferroviarie – pochi numeri già stampati, con le date corrette:

Poi basta. A differenza degli altri settimanali, Il Vittorioso sarà già in grado di tornare in edicola a giugno, in modo assai avventuroso. Intanto però Craveri è bloccato a Torino, nel territorio della RSI, e Jac, per sfuggire alla leva repubblichina di Graziani e ai rastrellamenti dei tedeschi, si nasconde a Firenze. Ma mentre il primo non può lavorare, il secondo ha già consegnato una montagna di materiale in redazione, e ad alcune storie, forse, fa addirittura passare le linee con qualche spericolato corriere…

sabato 11 aprile 2009

Un prezioso contributo sulle "panoramiche" di Jac

Chiacchierando a ruota libera su Jacovitti e Dubout, mi è passato di mente un importantissimo ispiratore "intermedio" del grande Lisca di Pesce, ovvero Giove Toppi, artista in forza alla Casa Editrice Nerbini di Firenze prima della Seconda Guerra Mondiale e scomparso nel 1942. Toppi era una una via di mezzo tra un Direttore Artistico (è opera sua la grande maggioranza delle famose copertine degli "albi" Nerbini) e un vero e proprio ras...
Prolificissimo disegnatore (realizzò innumerevoli copertine, illustrazioni, spartiti musicali, oltre ovviamente a moltissimi fumetti), era ugualmente a suo agio con lo stile realistico - sempre innervato da una robusta vena grottesca - e con quello umoristico. Sul settimanale satirico Il 420, sempre di Nerbini, realizzò alcune "panoramiche" che forse erano debitrici di Le Rire e di Dubout, o forse no, ma che con certezza influenzarono direttamente il nostro Benito Franco Jacovitti. Dal 1938 e fino all'immediato Dopoguerra, difatti, Jac era a Firenze e lavorava al Brivido, altro settimanale umoristico. Dove, tra l'altro, pubblicò le sue primissime "panoramiche", due anni prima di quelle del Vittorioso.
L'amico Sergio Lama , grande collezionista e raffinato studioso del Fumetto classico italiano, mi ha dato una salutare tirata d'orecchi e mi ha mandato delle magnifiche scansioni di due importanti "panoramiche" di Toppi. Le ho dovute brutalmente ridurre di dimensioni, per adattarle alle esigenze di questo blog, ma credo che ognuno sia in grado di giudicare:

La seconda "panoramica", a mio giudizio, è quella più sorprendente, per qualità e carica innovativa. Notate la modernità, davvero straordinaria, sia del disegno che delle battute... Anno XVII significa diciassettesimo anno dell'Era Fascista, che si calcolava dal 28 ottobre 1922: quindi è il numero di Ferragosto del 1939. Da ottobre, sarebbe scattato l'anno XVIII: davvero complicato!
Giove Toppi fu un grande maestro, forse un po' troppo accentratore, anche a danno di qualche collega assai più giovane e destinato a un grande futuro: mi riferisco ad Aurelio Galleppini, che in redazione, alla Nerbini, subì una sorta di mobbing da parte del più anziano disegnatore. Come il giovane Tempesti, d'altra parte.

domenica 5 aprile 2009

Il Vittorioso 1940/1941

Una precisazione, suggeritami indirettamente da Fortunato. Non si può comprendere il ruolo, e la qualità intrinseca, di questo settimanale, se si prescinde dal contesto, che io ho dato per acquisito, scordandomi che di queste cose si va perdendo la memoria… Dunque va detto, e ribadito, che nel 1934 il panorama editoriale italiano fu sconvolto da una autentica rivoluzione: i settimanali per bambini e ragazzi, ovvero il Corriere dei Piccoli e tutti i suoi epigoni, basati su un mix di storielle rassicuranti e redazionali istruttivi, furono “spiazzati” da un grande periodico (grande in tutti i sensi, anche come formato), L’Avventuroso, che per la prima volta pubblicava, coi balloons e senza didascalie, i grandi eroi americani del King Features Syndicate (ricordate il Blue Book?), da Gordon a Mandrake. Fumetti concepiti, negli USA, per un pubblico in gran parte adulto. La cosa non andò giù soprattutto alla categoria professionale degli educatori, fascisti e non, che iniziarono a fare pressioni lobbistiche sul partito allora al potere, il quale ovviamente poteva disporre un bando, nei confronti di questa produzione, come e quando voleva. Anche la Chiesa cattolica aveva pesantemente in uggia L’Avventuroso e i suoi confratelli e imitatori, un po’ per le forti allusioni sessuali, un po’ per la mancanza di una “morale” ortodossa. Però il Fascismo non volle agire affatto, almeno per i primi anni. Ce ne vollero quattro (di epocali successi, con un proliferare incredibile di testate e albi) perché qualcuno riuscisse a insinuare, nella mente dei funzionari del Ministero della Cultura Popolare, che questi fumetti erano anche anti italiani e quindi antifascisti, proponendo, come facevano, un modello di eroe tutto a stelle e strisce, deplorevolmente demo-pluto-giudaico… Balle, perché l’inazione del partito di Mussolini pare fosse dovuta a interessi personali del Capo stesso. Per fortuna mi viene in soccorso Ezio Ferraro, che ho avuto l’onore di riproporre integralmente, altrimenti la tirerei troppo per le lunghe. Vi consiglio di leggere la sua narrazione, molto più fresca, diretta e meglio scritta della mia.
A me interessa, in questa sede, rimarcare che Il Vittorioso fu pensato in chiave di contraltare cattolico, moralistico e castigato, a L’Avventuroso, ma – in modo molto intelligente – senza ripudiare affatto la novità del mezzo d’espressione (come invece faceva Argentovivo!, sul versante laico, in quello stesso periodo), ma anzi adottando in toto lo stile e le forme del “nemico”. Ebbe un vero, grande successo solo negli anni postbellici, e fino al 1955, come vedremo, quando acquistò una sua più precisa fisionomia e originalità.
Dal 1940 in poi, alcuni dei grandi maestri raggiungono la piena maturazione. È il caso di Franco Caprioli, che però migrerà presto ai più ricchi pascoli mondadoriani. Un peccato che ancora non si decida a convertirsi al linguaggio pienamente fumettistico, ovvero coi balloons. Ma è già presente il suo originalissimo stile, un pointillisme affascinante. Vi esorto a leggere la monografia su Caprioli, scritta dalla figlia e da Gianni Brunoro, un esempio cristallino di ottima critica fumettistica:
Sebastiano Craveri perfeziona il suo stile “pupazzettistico” e si lancia anche in ardite sperimentazioni grafiche: il suo Castello dei pupazzi anticipa addirittura l’Omino Bufo di Castelli. Ma sono soprattutto Il biglietto della lotteria e Tabuì, cane meccanico, a segnare lo zenith della sua produzione, sia sul piano grafico che su quello delle sceneggiature, forse ingenue, ma di grande sensibilità e intelligenza:
Queste storie sono ristampate, a tiratura limitatissima, da Mauro Giubbolini, storico esegeta di Craveri. Prendetele, finchè potete.

Craveri è la “bandiera” del settimanale, ed ha sempre l’onore del paginone finale a colori, mentre quello della testata è appannaggio di Caesar e del suo Romano il Legionario. Ma qualcosa si profila all’orizzonte, un pericolo terribile, che sarà fatale per il cartoonist piemontese… Sul numero 40 del 5 ottobre, in penultima pagina, in nero, piccola piccola, appare la prima tavola della storia d’esordio di un giovanissimo autore (non ha ancora diciassette anni!):
È proprio il grandissimo Benito Franco Jacovitti. La storia, Pippo e gli inglesi, una bonaria satira antibritannica, è legata al fatto, appena accennato dalla redazione, che il 10 giugno l’Italia ha dichiarato guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, dopo dieci mesi di attendismo, la famosa “non belligeranza” (cfr. ancora Ferraro):
Jacovitti scrive e disegna, con una straordinaria freschezza e originalità, una storia dopo l’altra. La seconda, a partire dal 25 gennaio 1941, è Il barbiere della prateria, già nel titolo una dissacrazione del genere, più che una semplice parodia:
La terza storia, impaginata sempre in posizione secondaria, è la curiosissima Pippo e il mistero dei “Lupino”. Io la conoscevo, come le altre, nell’edizione in albo, fascicolo ristampato dall’ANAF oltre trent’anni fa:


Mi era parsa una narrazione arcaica e legnosa, soprattutto per l’assenza dei balloons. Quando finalmente ebbi tra le mani Il Vittorioso, magicamente la storia acquistò una strordinaria freschezza! Scoprii che l’unica edizione degna di queste primissime storie di Jacovitti era la prima: tutte le successive soffrono della terribile mutilazione. Quindi si può dire che le storie d’anteguerra di Jac siano praticamente inedite, se si esclude una ristampa semi-integrale del Vittorioso, apparsa a circuito chiuso e in modo non autorizzato, negli anni Ottanta/Novanta.
Segue Pippo e la boa:
Ancora nulla che possa davvero preoccupare Craveri, il quale ama citarsi, nelle sue storie, e utilizzare elementi esterni al suo mondo immaginario, ma ruotanti nell’orbita del settimanale, proprio perché si considera la sua “bandiera”. A Zoolandia viene ospitato l’ormai onnipresente (e cattolicissimo) Gino Bartali, che è stato anche in visita alla redazione:

Ma Jacovitti è una forza irresistibile, e – ahimè – è molte spanne sopra Craveri, artisticamente parlando, nonostante la giovanissima età. Così nel 1941 gli vengono pubblicate, a piena pagina e a colori, le sue prime famose “panoramiche”. E, nella prima, è lui ad “appropriarsi” dei personaggi altrui, compresi gli zoolandini:

Non solo: Forza Pippo!, la nuova storia (novembre 1941/febbraio 1942), invade il campo di Craveri anche in chiave sportiva (calcio contro ciclismo) e viene impaginata in modo più visibile e in bicolore:
Ma chi è l’ispiratore, il modello di Jacovitti? Ha inventato il suo mondo surreale tutto da solo, quand’era appena adolescente? All’epoca in cui ebbi modo di parlarci a lungo, gli proposi Segar, Mussino, il dimenticatissimo Walter Faccini, addirittura Basil Wolverton. Niente, negò ogni ispirazione e fece solo un nome che mi suonava sconosciuto: Dubù. Non sapeva dirmi altro. E all’epoca non c’era Internet, almeno non con la miniera inesauribile di informazioni a cui ci ha poi abituato. Sciocca mia ignoranza giovanile… Aveva ben ragione, Jacovitti. Ecco, da un prezioso volumone francese, che ho recuperato su una bancarella, Albert Dubout, il vero ispiratore di Jac, e le sue affollatissime “panoramiche”. La prima è giusto di quel tristissimo 1940:


Dubout Lavorava soprattutto per Le Rire, settimanale umoristico non certo per ragazzi. Le sue donnone sono poi rifluite nella poetica jacovittiana, fino al Kamasultra degli anni Settanta. Dubout si specializzò nelle “panoramiche” – che lo stesso Jac disegnò fino almeno a tutti gli anni Sessanta – portandole a vertici estremi:
Avrei voluto pubblicarne anche un’altra, davvero affollata in modo incredibile, ma… supera la risoluzione della mia macchinetta fotografica!
Ahi, ho divagato troppo. Col prossimo post tornerò a parlare del Vittorioso degli anni di guerra, promesso!