Una precisazione, suggeritami indirettamente da
Fortunato. Non si può comprendere il ruolo, e la qualità intrinseca, di questo settimanale, se si prescinde dal contesto, che io ho dato per acquisito, scordandomi che di queste cose si va perdendo la memoria… Dunque va detto, e ribadito, che nel
1934 il panorama editoriale italiano fu sconvolto da una autentica rivoluzione: i settimanali per bambini e ragazzi, ovvero il
Corriere dei Piccoli e tutti i suoi epigoni, basati su un mix di storielle rassicuranti e redazionali istruttivi, furono “spiazzati” da un grande periodico (grande in tutti i sensi, anche come formato),
L’Avventuroso, che per la prima volta pubblicava, coi
balloons e senza didascalie, i grandi eroi americani del
King Features Syndicate (ricordate il
Blue Book?), da
Gordon a
Mandrake. Fumetti concepiti, negli USA, per un pubblico in gran parte
adulto. La cosa non andò giù soprattutto alla categoria professionale degli
educatori, fascisti e non, che iniziarono a fare pressioni lobbistiche sul partito allora al potere, il quale ovviamente poteva disporre un bando, nei confronti di questa produzione, come e quando voleva. Anche la
Chiesa cattolica aveva pesantemente in uggia L’Avventuroso e i suoi confratelli e imitatori, un po’ per le forti allusioni sessuali, un po’ per la mancanza di una “morale” ortodossa. Però il
Fascismo non volle agire affatto, almeno per i primi anni. Ce ne vollero quattro (di epocali successi, con un proliferare incredibile di testate e albi) perché qualcuno riuscisse a insinuare, nella mente dei funzionari del
Ministero della Cultura Popolare, che questi fumetti erano anche anti italiani e quindi
antifascisti, proponendo, come facevano, un modello di eroe tutto a stelle e strisce, deplorevolmente
demo-pluto-giudaico… Balle, perché l’inazione del partito di
Mussolini pare fosse dovuta a interessi personali del Capo stesso. Per fortuna mi viene in soccorso
Ezio Ferraro, che ho avuto l’onore di riproporre integralmente, altrimenti la tirerei troppo per le lunghe. Vi consiglio di leggere la sua narrazione, molto più fresca, diretta e meglio scritta della mia.
A me interessa, in questa sede, rimarcare che Il Vittorioso fu pensato in chiave di contraltare cattolico, moralistico e castigato, a L’Avventuroso, ma – in modo molto intelligente – senza ripudiare affatto la novità del mezzo d’espressione (come invece faceva
Argentovivo!, sul versante laico, in quello stesso periodo), ma anzi adottando in toto lo stile e le forme del “nemico”. Ebbe un vero, grande successo solo negli anni postbellici, e fino al 1955, come vedremo, quando acquistò una sua più precisa fisionomia e originalità.
Dal 1940 in poi, alcuni dei grandi maestri raggiungono la piena maturazione. È il caso di
Franco Caprioli, che però migrerà presto ai più ricchi pascoli mondadoriani. Un peccato che ancora non si decida a convertirsi al linguaggio pienamente fumettistico, ovvero coi
balloons. Ma è già presente il suo originalissimo stile, un
pointillisme affascinante. Vi esorto a leggere la monografia su Caprioli, scritta dalla figlia e da
Gianni Brunoro, un esempio cristallino di ottima critica fumettistica:
Sebastiano Craveri perfeziona il suo stile “pupazzettistico” e si lancia anche in ardite sperimentazioni grafiche: il suo
Castello dei pupazzi anticipa addirittura l’
Omino Bufo di
Castelli. Ma sono soprattutto
Il biglietto della lotteria e
Tabuì, cane meccanico, a segnare lo zenith della sua produzione, sia sul piano grafico che su quello delle sceneggiature, forse ingenue, ma di grande sensibilità e intelligenza:
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Queste storie sono ristampate, a tiratura limitatissima, da
Mauro Giubbolini, storico esegeta di Craveri. Prendetele, finchè potete.
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Craveri è la “bandiera” del settimanale, ed ha sempre l’onore del paginone finale a colori, mentre quello della testata è appannaggio di Caesar e del suo
Romano il Legionario. Ma qualcosa si profila all’orizzonte, un pericolo terribile, che sarà fatale per il
cartoonist piemontese… Sul numero 40 del 5 ottobre, in penultima pagina, in nero, piccola piccola, appare la prima tavola della storia d’esordio di un giovanissimo autore (non ha ancora diciassette anni!):
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È proprio il grandissimo
Benito Franco Jacovitti. La storia,
Pippo e gli inglesi, una bonaria satira antibritannica, è legata al fatto, appena accennato dalla redazione, che il 10 giugno l’Italia ha dichiarato guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, dopo dieci mesi di attendismo, la famosa “non belligeranza” (cfr. ancora Ferraro):
Jacovitti scrive e disegna, con una straordinaria freschezza e originalità, una storia dopo l’altra. La seconda, a partire dal 25 gennaio 1941, è
Il barbiere della prateria, già nel titolo una dissacrazione del
genere, più che una semplice parodia:
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La terza storia, impaginata sempre in posizione secondaria, è la curiosissima
Pippo e il mistero dei “Lupino”. Io la conoscevo, come le altre, nell’edizione in albo, fascicolo ristampato
dall’ANAF oltre trent’anni fa:
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Mi era parsa una narrazione arcaica e legnosa, soprattutto per l’assenza dei
balloons. Quando finalmente ebbi tra le mani
Il Vittorioso, magicamente la storia acquistò una strordinaria freschezza! Scoprii che l’unica edizione degna di queste primissime storie di Jacovitti era la prima: tutte le successive soffrono della terribile mutilazione. Quindi si può dire che le storie d’anteguerra di Jac siano praticamente inedite, se si esclude una ristampa semi-integrale del Vittorioso, apparsa a circuito chiuso e in modo non autorizzato, negli anni Ottanta/Novanta.
Segue
Pippo e la boa:
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Ancora nulla che possa davvero preoccupare Craveri, il quale ama citarsi, nelle sue storie, e utilizzare elementi esterni al suo mondo immaginario, ma ruotanti nell’orbita del settimanale, proprio perché si considera la sua “bandiera”. A Zoolandia viene ospitato l’ormai onnipresente (e cattolicissimo)
Gino Bartali, che è stato anche in visita alla redazione:
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Ma Jacovitti è una forza irresistibile, e – ahimè – è molte spanne sopra Craveri, artisticamente parlando, nonostante la giovanissima età. Così nel 1941 gli vengono pubblicate, a piena pagina e a colori, le sue prime famose
“panoramiche”. E, nella prima, è lui ad “appropriarsi” dei personaggi altrui, compresi gli zoolandini:
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Non solo:
Forza Pippo!, la nuova storia (novembre 1941/febbraio 1942), invade il campo di Craveri anche in chiave sportiva (calcio contro ciclismo) e viene impaginata in modo più visibile e in bicolore:
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Ma chi è l’ispiratore, il modello di Jacovitti? Ha inventato il suo mondo surreale tutto da solo, quand’era appena adolescente? All’epoca in cui ebbi modo di parlarci a lungo, gli proposi
Segar,
Mussino, il dimenticatissimo
Walter Faccini, addirittura
Basil Wolverton. Niente, negò ogni ispirazione e fece solo un nome che mi suonava sconosciuto:
Dubù. Non sapeva dirmi altro. E all’epoca non c’era Internet, almeno non con la miniera inesauribile di informazioni a cui ci ha poi abituato. Sciocca mia ignoranza giovanile… Aveva ben ragione, Jacovitti. Ecco, da un prezioso volumone francese, che ho recuperato su una bancarella,
Albert Dubout, il vero ispiratore di Jac, e le sue affollatissime “panoramiche”. La prima è giusto di quel tristissimo 1940:
Dubout Lavorava soprattutto per
Le Rire, settimanale umoristico non certo per ragazzi. Le sue donnone sono poi rifluite nella poetica jacovittiana, fino al
Kamasultra degli anni Settanta. Dubout si specializzò nelle “panoramiche” – che lo stesso Jac disegnò fino almeno a tutti gli anni Sessanta – portandole a vertici estremi:
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Avrei voluto pubblicarne anche un’altra, davvero affollata in modo incredibile, ma… supera la risoluzione della mia macchinetta fotografica!
Ahi, ho divagato troppo. Col prossimo post tornerò a parlare del Vittorioso degli anni di guerra, promesso!