Quel che succede nel 1944 è molto interessante. Il 4 giugno la Quinta Armata americana al comando del generale Mark W. Clark arriva a Roma, già sgomberata dai tedeschi. Viene istituito un ufficio, il PWB (Psychological Warfare Branch) che ha la responsabilità di concedere o negare permessi di stampa per periodici e libri: in pratica, si sostituisce pari pari al MinCulPop. Con i grandi gruppi editoriali bloccati a Nord, sopra la linea Gotica, negli uffici del PWB si precipitano vari editori, più o meno improvvisati, che sperano di “sfilare” i grandi comics americani a Nerbini e Mondadori. Qualcuno ci riesce anche, come vedremo più in là. Molto per tempo, l’AVE ha preparato il suo ritorno in edicola, che avviene, ufficialmente, lo stesso giorno della Liberazione della Capitale!
Il menabò del primo numero è simile a quello dell’ultimo del 1943:
Il numero, come quelli successivi, è stato messo insieme prima della forzata interruzione delle uscite: l’assenza dei balloons, d’altronde, ne è un indizio eloquente. Stessa carta, stessa malinconica bicromia. Ma la cosa davvero curiosa è che la gerenza del settimanale riporta ancora l’autorizzazione del Ministero della Cultura Popolare, che sparirà solo col terzo numero! Evidentemente non si è fatto in tempo ad ottenere quella del PWB, e dunque, in ossequio all’autorità, quale essa sia, si preferisce lasciare la vecchia dicitura, sia pure tra virgolette. Nel 1944, accade questo e ben altro…
Caramba di Jacovitti, a cui mancava solo una tavola per la conclusione, viene depennato con pochi complimenti (come è accennato nell’editoriale: la tavola finale vedrà la luce solo in albo) e sostituito con una storia già disegnata dal grande termolese, che in quel periodo è ancora nascosto a Firenze. La storia, fra le più “dense” e surreali di Jac, è Chicchirichi (l’accento va sulla penultima i):
Caramba di Jacovitti, a cui mancava solo una tavola per la conclusione, viene depennato con pochi complimenti (come è accennato nell’editoriale: la tavola finale vedrà la luce solo in albo) e sostituito con una storia già disegnata dal grande termolese, che in quel periodo è ancora nascosto a Firenze. La storia, fra le più “dense” e surreali di Jac, è Chicchirichi (l’accento va sulla penultima i):
Satira del gangsterismo americano, forse inizialmente ispirata dalla propaganda fascista, Chicchirichi è un trionfo di disegno quasi espressionista, ormai pienamente maturo. Un’autentica orgia di “cartelli”, deliziosamente folli e surreali, solo apparentemente senza senso, inaugura un vero e proprio nuovo linguaggio, che Jac affinerà con gli anni, fino a giungere a un’autentica nuova forma letteraria in Coccobill e soprattutto in Zorrykid:
Forse i “cartelli” nascono per reagire alle proibizioni del MinCulPop, ma diventano subito una nuova arma nelle mani del giovanissimo, vulcanico autore. Abbondano le “panoramiche”:
Mentre il materiale già consegnato da Jacovitti sembra inesauribile, di Sebastiano Craveri, immobilizzato a Nord, a Carmagnola, c’è solo la storia iniziata nel 1943, Ritorna la macchina:
Alla conclusione dell’episodio, in mancanza di altro materiale, la redazione allestisce, con un forsennato taglia e incolla delle sue vecchie tavole, una storia posticcia, Che succede a Patatruk?!:
La storia “arrangiata” si conclude, e ancora non è possibile ottenere nuove storie da Craveri, mentre Jacovitti imperversa. La redazione, su testi di Piercostante Righini, allestisce un secondo collage con Il gran Pirata. Siamo già in pieno 1945, col Vittorioso finalmente di nuovo a quattro colori, quando finalmente appare una storia “nuova”, ancora con le didascalie e senza i contorni delle vignette, quindi senz’altro disegnata nel 1943, Il mistero del contrabbasso:
La prima storia veramente nuova di Craveri, con i balloons, è L’allegra cometa, un curioso exploit fantascientifico che esce a cavallo tra il 1945 e il 1946:
Ma non ci sono, ovviamente, solo Jac e Craveri, sul Vittorioso di questo immediato Dopoguerra. Oggi è il 25 aprile, e mi sembra un modo assai degno di ricordare questa data storica, pubblicando qualche vignetta di una storia apparsa sul Vittorioso proprio nel 1945, I ragazzi di Piazza Cinquecento, di Raffaele Paparella:
Credo sia quasi un unicum, nella storia del Fumetto italiano: è, difatti, una storia autenticamente celebrativa della Resistenza romana, quasi neorealista, e che sia apparsa sul settimanale cattolico è un fatto degno di nota. Non voglio certo affermare che si tratti di un’opera paragonabile, tanto per dire, alla contemporanea Roma città aperta di Rossellini, ma nemmeno a Roma, città libera di Marcello Pagliero. Però nello stesso periodo non c’è nulla, almeno a fumetti, che stia alla pari con questo interessante – e rarissimo – episodio a fumetti: non certo il contemporaneo Cuore Garibaldino apparso su L’Intrepido, né l’esotica saga di Boris il vendicatore (un partigiano sovietico) pubblicata nello stesso giro di mesi sul settimanale Fulmine. Forse solo la primissima parte di Sciuscià (il fumetto, ovviamente), ha un po’ di profumo di verità. Non mancheranno altri esperimenti “veristi”, sul Vittorioso, ma non saranno mai tanto immediati come I ragazzi di Piazza Cinquecento: