Neorealismo: parola grossa, usata in questo contesto, ma è tanto per rendere l’idea.
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Benché la vera punta di diamante del Vittorioso sia ancora
Jacovitti, intorno al 1950 altri autori producono autentici piccoli capolavori. Fra le “vecchie glorie”, un posto d’onore spetta senz’altro a
Franco Caprioli, di cui abbiamo visto gli
exploits dell’immediato dopoguerra. Il Maestro di Mompeo, nel 1947/48, lavora molto per il mondadoriano
“Topolino”, ancora formato
giornale, che proprio nel ’47 vive la sua ultima stagione di relativo splendore. Libero dai rigidi vincoli moralistici dell’ambiente cattolico, con la serie dei
Fanti di Picche (che vedremo a suo tempo), introduce il
glamour e anche un po’ di
sesso tout court, certo nei limiti imposti dal comune sentire dell’epoca. Consiglio vivamente il bellissimo saggio di
Gianni Brunoro e
Fulvia Caprioli "A tu per tu con Franco Caprioli" (Le Grandi Firme del Fumetto italiano, Editoriale
Mercury, 2005): lì è tutto spiegato estesamente e con notevole acume critico.
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Fatto sta che il
harakiri di “Topolino” giornale, nell’aprile del 1949, lascia Caprioli a piedi. Sul Vittorioso, l’autore pubblica diverse storie di ampio respiro narrativo, alcune delle quali, su testi di
Rudolph, vedremo meglio in seguito. Molte opere di Caprioli, in questo periodo, sono ancora di argomento storico, e ve ne propongo alcuni esempi, tutti caratterizzati dalla splendida qualità grafica.
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Ma è particolarmente degno di nota, nel 1947/48 il piccolo ciclo strapaesano di
Mino e Dario: l’ambientazione non è più esotica, né storica, ma contemporanea. Difatti assistiamo alle imprese di un gruppo di scout cattolici (qualsiasi riferimento al
Tintin di
Hergé non credo sia casuale), di alcuni disgraziati malviventi, di un carabiniere, di un vagabondo e di altri umanissimi personaggi, in uno scenario laziale di fantasia ma molto legato alla realtà. Non a caso, il ciclo è stato ripubblicato proprio in appendice al citato testo di Brunoro e Caprioli.
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Abbiamo visto che già nel 1945, con
I ragazzi di Piazza Cinquecento, un po’ di
neorealismo era approdato sulle pagine del Vittorioso; dopo il breve ciclo di Mino e Dario Caprioli, vedremo altri autori confrontarsi con la contemporaneità e perfino con argomenti impegnativi e adulti. Non che sia cosa del tutto nuova, intendiamoci: quando affronteremo il grandissimo “Topolino” d’anteguerra, difatti, vedremo cose insospettabili, a partire da
Zorro della Metropoli per arrivare alla
Compagnia dei Sette: cose create nonostante il
Fascismo, che fanno impallidire i successivi e improbabili
Sciuscià (a fumetti s’intende) e
Cuore Garibaldino.
Ma torniamo al Vittorioso. Oltre alla storia di Caprioli, qualche notevole spunto di contemporaneità è dato da storie poliziesche quali
Il segreto dell’officina n. 2 di Belloni e Polese.
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La nuova formula, quasi una rivista e non più un classico “giornale”, incontra il favore dei lettori, nonostante si sia ormai in epoca di tascabili e “strisce” trionfanti. A questo proposito: non aspettatevi in questo blog il fumetto “plebeo” del Dopoguerra, perché non ne ho in collezione; anzi, non aspettatevi nemmeno
Tex,
Miki,
Blek ed epigoni.
Altra “colonna” del settimanale, sempre appartenente alla vecchia guardia, è
Kurt Caesar. Anche lui è orfano di “Topolino”, e per il settimanale romano disegna una lunghissima serie di storie imperniate sulla tecnologia, specie in campo aeronautico. Una mole impressionante di produzione, realizzata mentre peraltro lavora estesamente per il mercato estero. Vi propongo, per tutte, una tavola del ciclo di
Ted (emulo del defunto Romano) e un’altra, tecnico-fantascientifico-avventurosa,
Il brigantino degli abissi, che prelude già ad
Urania.