giovedì 1 luglio 2010

Topolino tredicesima parte – l’esordio di Mondadori

1935 III

Dunque dicevamo che Mondadori subentra a Nerbini, quale editore di Topolino, con il numero 137 dell’11 agosto 1935.
Mettiamoci nei panni di uno dei lettori che quel giorno va all’edicola, senza sapere che il suo settimanale preferito ha cambiato editore. Ecco cosa trova:



La testata, disegnata da Giove Toppi, è la stessa dell’edizione Nerbini. La stampa, in tricromia, è tecnicamente uguale a quella solita, anche se più scadente rispetto agli standard fiorentini. Nerbini si serviva, nel 1935, della tipografia Vallecchi di Viale dei Mille, a Firenze; per i primissimi numeri, pur disponendo di attrezzature proprie, Mondadori si rivolge all’Archetipografia Milanese di Viale Umbria, a Milano. Evidentemente, per rendere il passaggio il meno trau...
...matico possibile, il nuovo editore cerca di realizzare un prodotto identico a quello nerbiniano, anche nelle sfumature.
Il direttore Responsabile è nientemeno che Antonio Rubino, ormai in rotta col Corriere dei Piccoli. In prima pagina c’è una tavola domenicale di Mickey Mouse, ancora con strofette in rima, ridotte però a due versi per ogni vignetta.
Il nostro ipotetico lettore, se non va a guardare le gerenze del settimanale, nemmeno si accorge che qualcosa è cambiato.



Il racconto in testo è illustrato da un non meglio identificato Casolaro.


La storiella “preistorica”, vagamente presaga del BC di Johnny Hart, è opera di F. M. De Ripperda, che a dispetto del nome è uno statunitense. Il titolo originale dela serie, uscita negli USA in quello stesso 1935, è Pebbles the Stone Age Kid. Nulla di meno (forse qualcosa di più) rispetto ai fumetti minimi con i quali Nerbini riempiva la gabbia del suo settimanale.



Qui il lettore, ignaro degli accordi intercorsi tra gli editori per il cambio di gestione, può restare perplesso. Di certo ha già visto, esposta nelle edicole, la locandina pubblicitaria del nuovo settimanale presentato in quei giorni da Nerbini, Il Giornale di Cino e Franco, e il relativo manifestino che è stato inserito nel numero 42 de L’Avventuroso del 28 luglio 1935 (lo vedremo prossimamente). Il nuovo settimanale promette le meravigliose avventure dell’intraprendente duo della Pattuglia dell’Avorio. E allora, chi sono i due personaggi che, su Topolino, occupano le pagine che fin dal 1933 erano appannaggio del fumetto di Lyman Young e collaboratori?


Senza dubbio sono sempre Cino e Franco, con la mise “borghese” che sfoggiavano nelle primissime strisce di Sotto la bandiera del Re della Giungla:

(da Topolino n. 53, 1933)

Ma i personaggi si chiamano Tim e Tom, non Cino e Franco. Ohibò.
Nei numeri successivi, altri particolari:



E questi chi sono? Ma perbacco, senza dubbio i redivivi Re Carlos e capitano Dumont, il colonnello Stagg e Anita!
Siamo dunque, nella continuità narrativa, in un momento precedente l’inizio di Sotto la bandiera del Re della Giungla… Il nostro ipotetico lettore pensa proprio questo, e continua a pensarlo anche molti anni dopo, quando, da adulto, diventa collezionista e studioso di fumetti e cerca di ricostruire la “cronologia” delle storie di Cino e Franco, con tutte le attribuzioni del caso.
Il nostro ipotetico lettore consapevole del 1935, infatti, non è affatto ipotetico: è reale, e ce ne sono altri come lui. È il mio compianto amico Franco Franciosi, autore delle prime schede bibliografiche dedicate alle grandi serie americane degli anni Trenta, pubblicate in appendice all’Enciclopedia dei Fumetti curata da Gaetano Strazzulla ed edita da Sansoni nel 1970/71:



È l'inizio della filologia fumettistica: altri tempi, davvero.
Inizialmente, Franciosi e gli altri collezionisti pensano che quelle pubblicate sul Topolino Mondadori siano le strisce giornaliere che precedono, appunto, l’episodio pubblicato nel 1933. Poi scoprono che si tratta, invece, delle tavole domenicali di Tim Tyler’s Luck, con contenuti indipendenti rispetto alle dailies. Mondadori, come ha fatto del resto Lotario Vecchi (lo vedremo tra poco), nel 1935 fa difatti man bassa delle Sundays che Nerbini, limitandosi a pubblicare le giornaliere, ha lasciato libere: ne vedremo molte, e assai significative, su L’audace SAEV. Si pensa dunque che le giornaliere scaturiscano proprio da questo episodio domenicale: ipotesi suggestiva, destinata però a cadere quando si scopre che in realtà le dailies nascono in epoca lontanissima (1928).



Cino e Franco, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, passano ad una dimensione mitica: hanno i tratti della perduta epopea, le cui origini si perdono nei misteriosi territori del fumetto americano pre-avventuroso. La simpatica coppia ha regalato ai lettori tali e tanti fremiti, in epoca ancora vergine, da indurre a trascurare il valore del fumetto in se, scaduto drasticamente di qualità proprio a partire dal 1935. Nuovi filologi ne ricercano le gesta inedite, come preziosi palinsesti, nelle biblioteche di tutto il mondo.


Ed è così che negli anni Settanta l’editore “amatorialeSilvano Scotto scova e acquista, in un archivio di provincia degli Stati Uniti, l’unica collezione esistente dell’unico quotidiano che aveva pubblicato Tim Tyler’s Luck dal’esordio (1928) e stampa la parte iniziale dell’epopea in una collana di albi a circuito chiuso. I grandi (e costosissimi) fascicoli di formato orizzontale sono un autentico avvenimento editoriale, tanto che ne parlano anche Panorama e altre testate d’informazione. La serie giornaliera delle avventure di Cino e Franco, edita dal genovese Club Anni Trenta di Scotto, diventa così l’unica integrale esistente al mondo.


Ma oggi, nel 1935, la massa dei lettori non si fa troppi problemi: tutti capiscono che Tim e Tom e Cino e Franco sono gli stessi personaggi, e si godono le loro avventure sia sul Giornale di Cino e Franco che su Topolino.
La redazione di Topolino indica l’autore di Tim e Tom/Cino e Franco: è Louis Young. Perché ribattezzare in tal modo il povero Lyman? L’uso di cambiare alcuni nomi anglosassoni con altri anglosassoni è pratica comune, in questi anni prebellici, e rispecchia un’italietta in cui la padronanza dell’inglese è cosa assai rara. Quindi, poiché di Louis se ne conoscono parecchi, a cominciare da Armstrong, il cambio anagrafico addolcisce un nome dal suono ostico e incomprensibile.



A pagina 6, attribuito stavolta correttamente a Winsor McCay, Il piccolo Nemo a zonzo tra i pianeti è nientemeno che Little Nemo, il primo grande capolavoro del Fumetto americano, iniziato nel 1908. Queste tavole appartengono alla sua terza serie, pubblicata appunto negli anni Trenta: in realtà è opera del figlio di McCay, e deriva da un collage di vecchie tavole rimaneggiate.
Nemo sarà scoperto dai critici europei alla fine degli anni Sessanta, diventerà celebre fra tutti gli appassionati, ma oggi siamo nell’agosto del 1935 e oggi il piccolo Nemo passa inosservato.


A pagina 7, l’immancabile raccontino in testo e le rubrichette edificanti sono impreziosite da disegni di Antonio Rubino.



Lo storico numero 137 di Topolino si chiude con la prosecuzione e fine della tavola pubblicata in prima pagina. Mancano le strisce giornaliere di Floyd Gottfredson, che per il momento sono pubblicate, come abbiamo visto, sul Topolino Supplemento.





Anche il numero successivo è stampato in tricromia. In ultima pagina c'è una tavola “umoristica” di Mario Lamarchia, che fa riferimento, in modo decisamente agghiacciante, alle presunte provocazioni degli etiopici nei confronti delle guarnigioni italiane in Eritrea (incidenti di Gondar e di Ual Ual) e alle repressioni messe in atto coi gas asfissianti. Dispiace, proprio all’inizio del Topolino Mondadori questa caduta di stile, dettata ovviamente dal desiderio di mostrarsi più… fascisti di Nerbini. Per fortuna, fumetti di simile smaccata propaganda non appariranno più sui settimanali mondadoriani fino al 1940.


4 commenti:

  1. Curioso come la storiellina "Al fortino somalo" di Lamarchia ammetta chiaramente l'uso di vietatissime armi chimiche.
    Pensavo che simili cose si preferisse tenerle segrete (per non dire "negarle") e non spiattellarle con leggerezza...

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  2. Altri tempi. E' curioso come i tabù e le ipocrisie cambino, col passare dei decenni, al pari delle mode. Quello che oggi appare - a me, per esempio - agghiacciante, probabilmente all'epoca sarà sembrato solo un po' "forte" o di cattivo gusto.
    Per quanto riguarda la segretezza, dopo il '17 e Ypres, i gas erano entrati nell'immaginario popolare come "ovvia" arma di sterminio, praticamente come sarà la bomba A dopo il '45: niente di segreto, quindi. Ci sono memoriali della guerra d'Africa, pubblicati all'epoca, in cui non si fa mistero di alcunché.
    Spietatezze anni Trenta, speculari alle ipocrite spietatezze d'oggi. Spero di non essere frainteso.

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  3. Che dire di questo blog?
    SEMPRE PIU' BELLO!

    procione_del_maine

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