martedì 29 settembre 2009

Un piccolo quiz

Per chi indovina non c'è premio, solo la mia riconoscenza e quella di Sergio, che mi ha portato le immagini. Perché nei io né lui conosciamo la risposta giusta...
Le due tavole che seguono sono state pubblicate sul rarissimo "giornale" L'ometto Pic, nel remoto 1946. La mano è quella di un Maestro, e la prima cosa che ci viene alla mente è un possibile ricalco dal disneyano Little Hiawatha. Ma non è così. C'è invece qualcosa de La Rosa di Bagdad... Forse. Nessuno è in grado di aiutarci?
Non andate a cercare sul Bono, perché nemmeno lì ci sono notizie in merito.


lunedì 28 settembre 2009

Il Vittorioso 1951/52 e gli altri autori

Grazie per i vostri contributi ai post precedenti: le note su Roudolph, che mi promettevo di ricercare nel prossimo futuro, sono già un’ottima base di partenza.Su un piano decisamente inferiore ai maestri finora esaminati, ma sempre di altissimo artigianato, è l’opera di Ruggero Giovannini. Nel 1950, con Il leone di San Marco, su testi di De Barba, è ad un livello grafico di tutto rispetto, con un uso del chiaroscuro ispirato, più che dalla scuola americana di Milton Caniff ed epigoni, ai grandi maestri italiani dell’anteguerra e dell’immediato dopoguerra:

La lezione del suddetto maestro americano, e anche quella del suo emulo Frank Robbins, si svela invece prepotente nel 1952 in una storia del tutto particolare, Un uomo contro il mare:

Ricordate i “fumetti verità” del Corriere dei Ragazzi, nel 1971/75? Li abbiamo visti in un vecchio post . Quest’opera, su soggetto di Piero Salvatico (che Perogatt dice fosse anche l’autore della Posta Vitt) ne è un’antesignana. L’idea di utilizzare il Fumetto non solo come mezzo di intrattenimento – o forma d’arte fine a se stessa – ma anche come forma di giornalismo visuale, era nel 1952 decisamente precorritrice. Giovannini contribuisce con un segno di grande realismo decisamente degno della syndication americana del periodo.
Interessante, soprattutto sul versante grafico, è La terra dell’oro, su testo di Eros Belloni e disegni di Guerri (Alberto o Mario?):

Sorprendente, per l’originalità grafica e per l’ambientazione sarda assai realistica, la storia Il bosco di nessuno, su testi di Eros Belloni e disegni di Carlo Boscarato. Mi pare che meriti un attimo più di attenzione:

Dotato di uno stile decisamente personale, fra questi minori del Vittorioso (“minori” forse allora, fra tanti giganti: oggi sarebbero tutti primi della classe) è Gino D’Antonio, che sarà attivissimo in seguito e certo non solo sul Vitt:

Per Renato Polese, anche lui prolificassimo autore degli anni Cinquanta (e Sessanta) ci viene in aiuto una scheda pubblicata proprio sul Vittorioso, che anche nel dare dignità autoriale ai propri collaboratori, dimostra in questo periodo una notevole sensibilità. A proposito: non ho mai citato il sito degli Amici del Vittorioso , che contiene molte informazioni utili. Rimedio adesso.



Col prossimo post torniamo ai nostri “giganti” e ad un nuovo, importante autore.

martedì 22 settembre 2009

Giorgio Bellavitis, Giovanni De Luca e gli altri

È stato il blog di Luca Boschi , la scorsa primavera, ad informarmi della morte di Giorgio Bellavitis: che fu partigiano, amico e sodale di Hugo Pratt ai tempi eroici dell’Asso di Picche, e poi collaboratore prezioso del Vittorioso. Un autore di talento, negli anni Quaranta e Cinquanta, che poi aveva lasciato la Nona Arte per dedicarsi con passione e grande successo personale alla sua professione di architetto: viveva nella sua dolce Venezia e forse considerava il Fumetto solo una parentesi secondaria di una vita piena di cose più “serie”. Rimando al ricordo di Luca, col contributo di Piero Zanotto e Gianni Brunoro, per ogni altra notizia ed eventuale approfondimento. Qui mi preme ricordare che la critica di fumetti non ha mai speso un rigo su di lui. Con una sola eccezione: un bellissimo articolo di Claudio Dell’Orso, con intervista, apparso sul numero 13, credo proprio l’ultimo, della dimenticatissima prozine “Nostalgia Comics”, diretta nei primi anni Ottanta da Luciano La Spisa, insieme ad una pregevole ristampa del suo episodio di esordio. Nostalgia Comics chiuse presto, perché troppo indipendente, intelligente e raffinata: si sa come vanno queste cose. Riproduco la copertina di quel numero, senza data. Mi piacerebbe scansionare almeno il testo dell’intervista, ma non vorrei far cosa illecita… Claudio, se mi leggi, batti un colpo.

Nel 1950, su soggetto di De Barba, Giorgio Bellavitis disegna per Il Vittorioso il suo primo “cineromanzo”, I cavalieri del corvo, di ambiente medievaleggiante (come gran parte della sua produzione successiva).
Ma la star del Vittorioso, in questo periodo, sullo stesso piano di popolarità di Jacovitti e Caprioli, è senz’altro Giovanni De Luca. Ho accennato a lui in qualche post precedente. Con la sua produzione del 1950-51, raggiunge un primo apice della sua innovativa arte grafica. Un ottimo esempio è L’impero del Sole, solo apparentemente un pastiche azteco-atlantideo, e comunque i luoghi comuni che affronta, insieme all’onnipresente sceneggiatore Roudolph (dovrò prima o poi trovare qualche notizia su di lui) anticipano di cinquant’anni gli abusatissimi temi cinematografici d’oggidì.

La sfinge nera si basa quasi esclusivamente sulle suggestioni scenografiche, quasi da quinte teatrali, di De Luca: molti anni dopo, sul “Giornalino”, vedremo gli estremi sviluppi di questa particolare (e assai originale) visione dello spazio scenico da parte di De Luca.


Solo apparentemente più convenzionale, ma ricercatissima dal lato puramente pittorico, è la lunga storia Il tempio delle genti, pubblicata a fine 1950: notate l’uso del chiaroscuro, che spesso De Luca abbandonerà in favore di una sua originale “linea chiara” e poi di un pointillisme affine a quello di Caprioli ma risolto in chiave espressionista, invece che naturalistica.

Nei prossimi post vedremo l’evoluzione, rapidissima, dello stile di questi autori nel corso del biennio 1951/52.
Nell’autunno del 1950, Il Vittorioso aumenta il numero delle pagine e modifica l’impostazione della copertina. Scompare la storia a puntate in prima pagina, classica impostazione dei classici “giornali” fino al 1949: al suo posto c’è una grande illustrazione, sullo stile del franco-belga “Tintin”, a cui il settimanale cattolico evidentemente si rifà, almeno dal lato grafico. Il Vittorioso si avvia a trasformarsi in “rivista”, percorso che arriverà a compimento negli anni Sessanta. Parallelamente, stessa evoluzione avrà il “Corriere dei Piccoli”, e dalla nuova forma editoriale scaturiranno poi, idealmente, le “riviste d’autore”. Ma per ora, è un futuro lontano.





venerdì 18 settembre 2009

Il Vittorioso 1950 – Franco Caprioli

I due opuscoli pubblicati nei precedenti post non devono metterci fuori strada: una cosa erano gli intenti censori delle autorità religiose a capo dell’editrice AVE, un’altra era la volontà di adeguarvisi della redazione del Vittorioso, un’altra ancora quella degli autori. Se gli anonimi redattori di “Mammina me lo compri?” e del manifesto “Indicatore della stampa per ragazzi” avessero studiato attentamente i contenuti delle storie a fumetti di Jacovitti, di Craveri, di Caesar, sotto una facciata certamente ortodossa avrebbero trovato moltissime “devianze” dalla morale imposta. Molti autori erano assai critici, personalmente, nei confronti dei paletti imposti dalla catena di comando sopra accennata, e non perdevano occasione per far passare qualcosa fra le righe.
Un grande Maestro appartenente alla suddetta categoria dei “devianti” (dal punto di vista cattolico, s’intende), sempre coraggiosamente critico e ribelle alle imposizioni, è Franco Caprioli. Abbiamo già visto alcune delle sue opere precedenti – è fra i Padri Fondatori del settimanale, anche se con lunghi periodi di sospensione – ma dopo la chiusura di “Topolino” e degli altri giornali a fumetti classici di grande formato, il “Vittorioso” è fra le sue poche fonti di reddito. E perciò si impegna moltissimo in alcune riduzioni – quasi tutte opera di Rudolph – di classici letterari. Nel 1950, la sua opera più affascinante è senz’altro L’ussaro della morte, annunciato da una copertina speciale:




Caprioli fa uso, evidentemente, di fotografie e di documentazione di prima mano. Ma la cosa più affascinante è l’aspetto crepuscolare della sua opera, con suggestioni macabre che rimandano a suoi disegni inediti degli anni precedenti, riprodotti in varie monografie, ultimo il già citato saggio di Brunoro-Caprioli:

Niente male, eh? C’è anche un rappresentante dei suoi… datori di lavoro. E l’anno è addirittura il 1941! L’immagine è tratta dal testo che segue, un raro fascicolo, illustratissimo, edito nel 1984. Termino con la copertina del bel saggio di Luigi Bernardi e Paolo Ferriani, edito nel 1988, terza – ed ultima – voce della striminzita bibliografia del Maestro di Mompeo. Ma noi torneremo presto su di lui, e a varie riprese.


Ancora "censure"

Proprio di censure non si tratta, come dicevo, ma di… pressanti consigli. E non fosse altro che per inquadrare – contestualizzare – il Fumetto e il periodo storico di cui ci stiamo occupando, metto volentieri in linea alcune pagine dell’opuscolo fornitomi da Sergio, analogo al “manifesto” pubblicato un paio di post fa. Ha ragione Armando: è stato già ripresentato da Fumetto, la storica rivista dell’ANAFI (la benemerita Associazione Amici del Fumetto e dell’Illustrazione, alle cui mostre di Reggio Emilia ci ritroviamo ogni anno), ma certe volte repetita juvant.




Un paio di osservazioni: questo opuscolo è molto più documentato, ogni voce degli "esclusi" (praticamente tutti!) è ben ragionata. La stampa "raccomandabile" è ovviamente tutta quella cattolica, ma stavolta Topolino è fra i "leggibili"...



giovedì 17 settembre 2009

La malinconica sorte di Craveri

E Sebastiano Craveri, “padre fondatore” del Vittorioso, cosa fa, fra il 1950 e il 1951? Nei dieci anni in cui sulle pagine del settimanale letteralmente esplode il talento del giovanissimo Benito Jacovitti, il suo ruolo diventa sempre più quello di un outsider: un peccato, perché se è vero che Jac è un Genio del Fumetto (e gli esempi proposti in questo blog lo provano ampiamente, se mai ce ne fosse bisogno), le poetiche, delicate storie di Zoolandia sono piccole opere d’arte che avrebbero meritato, allora, assai miglior sorte, e certamente la meriterebbero adesso. Ma nel Dopoguerra soffia un vento decisamente più spietato rispetto a quello di pochi anni prima – e ovviamente mi riferisco all’aria che si respira sui giornalini. Servono cose più immediate, con toni e colori più decisi. E proprio del colore viene privato purtroppo Craveri, relegato, con la splendida storia Il Re gobbo, in una pagina interna del giornale. L’episodio esordisce nello splendore della tricromia, ma passa subito ad una malinconica stampa a mezzi toni:



Anche il formato della tavola viene spietatamente ridotto, ed è francamente difficile, in pagine sempre più spartane (e disegnate un po’ più sbrigativamente, si capisce) cogliere appieno l’arte di Craveri:


La sorte editoriale di Craveri, che si isola sempre più nella sua pedemontana Carmagnola, mentre Jacovitti è ormai stabile a Roma, a stretto contatto con la redazione del Vitt, è ancora altalenante, in questo biennio. D’altra parte Jacovitti, il nuovo re, ha sinceri sentimenti di riconoscenza e di affetto nei confronti dell’anziano monarca: lo dimostrerà del resto vent’anni dopo, quando aiuterà lui e la famiglia nei giorni più tristi. Un paio di storie, o poco più, vengono ancora impaginate in grande formato e a colori:


La vera e propria mazzata arriva a fine 1950, quando un terzo “pupazzettista” si affaccia alle pagine del giornale, e con una verve tale che sembra voglia fare le scarpe a entrambi, Jacovitti e Craveri. Si tratta di un giovane Lino Landolfi. Ne vedremo delle belle, in tutti i sensi. Intanto, una pagina d’assaggio:


mercoledì 16 settembre 2009

Liste di proscrizione

Insieme all’annata 1951 del Vittorioso, conservo anche questo “pieghevole”, distribuito dall’AVE nelle parrocchie (e probabilmente non solo). A leggerlo passa un brivido lungo la schiena, e si avverte l’acre odore della guerra fredda. Ma stavolta la politica non c’entra affatto: è guerra, sì, ma moralistica; non conta affatto la politica, in questa lunghissima lista di pubblicazioni a fumetti ma il maggiore o minore allineamento ad una visione della letteratura per ragazzi esclusivamente edificante, in cui i personaggi “buoni” devono esserlo senza mezze misure e incarnare gli ideali purissimi, possibilmente cristiani. I “cattivi”, d’altra parte, non debbono mai mostrare gli aspetti veramente truci, disturbanti, della loro personalità… E niente sesso, per carità, nemmeno un lontano accenno!
Anche nel lontanissimo 1951 (o 1948), era senz’altro legittimo che qualcuno proponesse un elenco “consigliato” di letture “sane”. Ma se lo faceva l’AVE (e quindi in accordo con l’Oltretevere), più che un consiglio, visto il grande potere di condizionamento della Chiesa Cattolica, aveva il sapore acre dell’imposizione.
Ma il motivo principale per cui vi propongo la lettura di questo foglio è l’insospettabile presenza di certe testate, fra le pubblicazioni sconsigliate (o addirittura “escluse”). Fra quelle leggibili solo “con cautela” (terzo elenco, dei primi due dirò poi) ci sono:
- Albi tascabili di Topolino (soprattutto Barks)
- Corriere dei Piccoli (la concorrenza diretta, laica e borghese!)
- Topolino
Fra le testate addirittura “escluse” - così, tranchant, e sono la grande maggioranza (i commenti fra parentesi sono miei):
- Albi d’oro Giorgio Ventura (Brick Bradford)
- Albi Nerbini (tutti!)
- Asso di Picche (Pratt)
- Avventura (tutti i grandi comics USA)
- Cino e Franco
- Dik Fulmine
- Giornale dell’Uomo Mascherato
- Gordon
- Italo Americano
- Mandrake
- Pantera bionda (ovvio)
- Tarzan
Basta, mi fermo qui. C’è molto da leggere e da riflettere.

domenica 13 settembre 2009

Ancora (e sempre) Jacovitti

Dopo una lunga pausa agostana (non tutta di riposo, purtroppo) riprendo la discussione sul Vittorioso. E d’ora in poi cercherò di andare un po’ più alla svelta, perché c’è una gran mole di albi e giornali che aspettano di essere tratti dall’oblio…Ma non posso certo tralasciare il grandissimo Jacovitti. Gli anni Cinquanta vedono il primo dei suoi due grandi momenti, il secondo dei quali è ovviamente quello del Il Giorno dei ragazzi, che analizzeremo in seguito. Sul Vittorioso, Jacovitti scrive e disegna un lungo ciclo di avventure dei 3P (Pippo, Pertica e Palla), oltre che storie con Cip, Zagar e la Signora Carlomagno, quest’ultima il prototipo fumettistico della “nonna sprint” che riecheggerà nella letteratura popolare italiana in varie incarnazioni, non solo fumettistiche, con una punta di eccellenza nella Nonna Abelarda di Giovan Battista Carpi.
Ma non divaghiamo. Oltre ai due cicli suddetti, Jac realizza alcune opere favolistiche di grande inventiva e qualità grafica. Nel giro di anni di cui ci stiamo occupando, un’autentica perla è Le babbucce di Allah:





Oggi il mondo islamico è territorio minato, comunque lo si prenda. Negli anni Cinquanta, la Persia è ancora la Patria delle favole, e Baghdad un nome che evoca notti incantate e geni nelle lampade. Jac racconta una storia che è sospesa tra questo mondo infantile e la satira di costume. Peccato non essere più in grado di cantare le strofe in rima dei “cartigli”, costruite sopra i motivi di canzonette alla moda di allora: una tradizione che nella Letteratura popolare italiana ha le radici nei Quattro Moschettieri di Nizza e Morbelli (1934), con i disegni del grande Bioletto, e arriva almeno al Quartetto Cetra e alla Biblioteca di Studio Uno.



Nella seconda tavola, la scena dei diavoli è probabilmente ispirata alle memorabili sequenze dell’Inferno nel Dottor Faust di Rino Albertarelli, pubblicato nel 1940/41 su Topolino. Che poi, alla fine degli anni Cinquanta, riemerge tale e quale in una memorabile “grande parodia” disneyana di casa nostra, disegnata da Luciano Bottaro (Il Dottor Paperus):



Dello stesso anno delle Babbucce di Allah è uno straordinario Don Chisciotte, autentica summa della capacità visionaria di Jacovitti, capace di scomporre e ricomporre parti apparentemente lontane dell’immaginario collettivo (lo abbiamo già visto in Ciak! Del ’45) e insieme di creare un’opera compiuta perfettamente bilanciata, con una parte di satira di costume e una di moralismo niente affatto ipocrita. Non insisto oltre con quest’opera, benissimo ristampata molto di recente:
Ancora in attesa di una riedizione degna (se si esclude un’ormai remota – 1970 – Enciclopedia dei Fumetti di Gaetano Strazzulla) è la riuscitissima, quasi asterixiana Pippo e il Faraone, un’orgia piacevolissima di horror vacui nello stile delle sue celebrate “panoramiche” ed ennesima satira sugli avvenimenti storici appena conclusi:



Bisogna considerare che dopo la loro seconda pubblicazione, in albo, nei primissimi anni Cinquanta, queste storie non hanno mai avuto un’edizione degna, ma anzi sono state scarificate in tascabili, specie negli anni Settanta, che hanno consegnato alle generazioni successive un’immagine quanto meno distorta dell’arte di Jac. Il caso limite è Giaginto Corsaro Dipinto, storia surreale e quasi metafisica basata sui colori e ripubblicata… in bianco e nero!



Ma gli strali della satira jacovittiana, solo apparentemente bonaria, si dirigono anche sui personaggi della cultura popolari, come Tarzan:

Oreste il guastafeste, personaggio nichilista, non ha ad esempio davvero nulla di bonario. È figlio delle storie più crude di Jac, pubblicate su Intervallo negli anni precedenti, come Battista l’ingenuo Fascista e La Famiglia Spaccabue.

Mentre la vena più popolaresca, strapaesana e amabilmente quotidiana di Jacovitti si incarna negli straordinari “giri della risata”, rubati nell’idea a Craveri. Del quale, tempo permettendo, parlerò la prossima volta.